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CONFESSIONI DI UNA MASCHERA “La virulenza della viralità” Summer(Slam) MMXXIII

La connessione neuronale che ci vede come dipendenti dai Social Network sarà ancora a lungo la dinamica intorno a cui si muoveranno le nostre esistenze, ormai quasi totalmente prive di quell'indipendenza intellettuale a cui abbiamo sempre aspirato.

CONFESSIONI DI UNA MASCHERA "La virulenza della viralità" Summer(Slam) MMXXIII

Scriviamo a poche ore dalla messa in onda della trentaseiesima edizione di SummerSlam, andata in onda in quel di Detroit, Michigan. Non che la cosa possa interessare più di tanto, anzi, ci mancherebbe pure che così fosse, lo diciamo solo per contestualizzare temporalmente questa nostra confessione estiva.

In queste torride e insonni sere di inizio Agosto, il pensiero ricorrente che ci tiene impegnata la mente guarda a quello che potrà essere il nostro futuro più prossimo. Inutile dire che, anche in questa occasione, e forse, stavolta più che mai, ogni nostra considerazione sia da inquadrare all’interno di un contesto che vede il rapporto con la tecnologia come prioritario. La connessione neuronale che ci vede come dipendenti dai Social Network sarà ancora a lungo la dinamica intorno a cui si muoveranno le nostre esistenze, ormai quasi totalmente prive di quell’indipendenza intellettuale a cui abbiamo sempre aspirato. Viene di conseguenza, inevitabile, guardare allo stato delle cose cercando di assumerci le nostre colpe, in modo da sgombrare il campo da equivoci e da scuse imbarazzanti.

Al netto di questa doverosa presa di posizione iniziale, ci sentiamo altrettanto in dovere di affermare come, oggi, estate duemilaventitre, i Social Network hanno dimostrato la loro inutilità a livello “empatico”. I fantomatici processi di socializzazione sono miseramente falliti, sempre che, fossero realmente queste le intenzioni che hanno portato alla creazione di queste “trappole” tecnologiche.

Non sappiamo dire se stiamo attraversando una fase di stallo da inquadrare come tappa obbligata, all’interno di un processo preordinato riconducibile ad un “esperimento sociale”. Andrebbe chiesto agli amici complottisti, ma non ne abbiamo di così “aperti” alla disamina collettiva, per cui, promettiamo di ragionarci sopra e di tornare sull’argomento in futuro. Purtroppo, al contrario loro, noi non abbiamo certezze, tranne quella di non averne alcuna.

Guardare al passato per capire il presente e provare a decifrare il futuro. Questo è un assioma che ci hanno insegnato sin da piccoli, e che continuiamo a considerare valido. Voltandoci indietro non possiamo quindi non notare come ci sia stata una vera e propria corsa alla creazione di software sempre più seducenti, da cui fosse quasi impossibile affrancarsi, ma soprattutto orientati al marketing più sfrenato. Questo fino al momento in cui tutto è stato fagocitato da un’unica azienda, che ha sacrificato il fantasma del pluralismo sull’altare del monopolio, unica via per celebrare e onorare Sua Santità “il profitto”.

Detto che questo stato di cose, a nostro avviso, è il segnale che il sistema è più che mai vicino all’esalare il suo ultimo respiro, non possiamo non essere di conseguenza portati a pensare che si stia andando verso una loro evoluzione, figlia di approfonditi studi a livello di comportamenti e preferenze. Una sorta di SocialNetwork 3.0 che possa portarci al nuovo step. Troviamo quindi quanto mai improbabile una loro lenta e progressiva estinzione, per lo meno nel breve/medio termine.

Cercando di allargare il discorso, crediamo che anche i recenti esperimenti di Didattica a Distanza e Smart Working possano essere parte di questa nostra idea tutt’altro che visionaria. L’obiettivo alla fine è sempre quello di tenerci “a bada”, confinati davanti a schermi che ci permettano di arrivare “ovunque” senza spostarci di un cm dal divano in cui siamo sprofondati. Non meravigliamoci quindi, se un domani fossero davvero queste le strade che si apriranno davanti a noi. Anche se oggi possono sembrare lontane e impraticabili, basta guardare indietro (e nemmeno troppo) per capire che è passato veramente molto poco da quando dicevamo le stesse cose delle tecnologie che oggi diamo per scontate nelle nostre vite.

Si andrà ad implementare quella tendenza già in atto che predilige l’isolamento fisico con l’elezione dei rapporti a distanza a unica via possibile per aumentare il nostro coinvolgimento emotivo. Un paradosso che porta a isolarci per unirci. Folle, forse meno di quanto non si pensi. Un paradosso inaccettabile per noi nati in era analogica e adeguati alla digitalizzazione. Un passaggio che risulterà quasi naturale per i nati nel nuovo millennio.

L’esempio più lampante è quello che emerge dai racconti di coloro che hanno avuto la forza e il coraggio di presenziare ai concerti estivi di questo duemilaventitre. Mentre noi cinquantenni arretriamo nelle retrovie, in modo da preservare il bere e il “fumare” dai più scalmanati, i nostri figli si schiacciano sulle prime file armati di cellulare, cercando di riprendere tutto quello che accade, finendo per guardare il concerto attraverso gli schermi dei telefoni, ma soprattutto garantendosi la possibilità di testimoniare la loro presenza “fisica” postando immediatamente online il materiale registrato. Meglio ancora se prima degli altri.

In questo modo tutto assume una diversa prospettiva. L’evento non è più il concerto, ma la presenza al concerto. Il fatto in sè rappresenta uno spartiacque enorme e solo a prima vista può sembrare una dicotomia lieve e sfumata, mentre in realtà a separare le due cose c’è un mondo intero. Quello del metaverso in cui vivono (e sono imprigionati) i nostri ragazzi, quello che hanno deciso di lasciare per una serata, ma che non abbandonano del tutto, e che anzi, rifocillano coi loro video. Sono loro l’evento, il concerto è secondario. Se non fossero stati sul prato a pochi metri dal palco, non sarebbe sostanzialmente cambiato nulla. Sarebbero stati sempre e comunque loro al centro di tutto. Loro e la connessione totalizzante di cui sono schiavi. Una realtà irreale? No, la quotidianità.

La cosa folle sta nel fatto che tutto sta viaggiando ad una velocità (leggasi riduzione dei contenuti, sempre più “smart”) di condivisione che guarda in modo pressoché esclusivo alla possibilità di passare da un contenuto all’altro in modo frenetico e quasi schizofrenico. Con i video tradizionali che vengono sostituiti dai “reels” (short form videos), proprio per la maggiore facilità di caricamento, di visione e di condivisione.

Ma non è tutto qui. Ci sono altri inquietanti segnali che non possono non essere colti. Sulla scia della progressiva, e in parte (volutamente) sotto taciuta, chiusura delle librerie, siamo certi che il prossimo passo non possa essere che la chiusura dei cinema, sostituiti da una televisione “smart” sempre più presente, che ci presenta le serie TV o i film “on demand” portandoceli in anteprima direttamente sul divano di casa. Pellicole realizzate appositamente per la rete, in modo da fidelizzarci sempre di più. Anche perché è bene non scordarcelo, si tratta di metodiche che tendono alla dipendenza e non all’innovazione.

Detto che come sempre sarà il tempo, giudice ultimo, a dire se saremo stati più folli della follia in cui ci siamo ritrovati, ci piace chiudere con un’amara considerazione.

Se una volta ci ritrovava a tavola, a cena finita, a fantasticare in compagnia di un buon vino e di un pò di fumo su una rivoluzione che non è mai arrivata, oggi siamo ognuno a casa propria, a discutere in queste “pubbliche piazze” virtuali, pontificando su qualunque argomento, spesso senza avere le conoscenze in materia. Se a voi piace continuare a chiamarlo progresso, fate pure…

 

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