Nell’anno 2013, in un mondo dominato dal Consiglio dei Magnati dell’Industria, scoppia un’epidemia che in breve tempo cancella l’intera razza umana.
Sessant’anni dopo, nello scenario post-apocalittico di una California ripiombata nell’età della pietra, un vecchio, uno dei pochissimi superstiti racconta come la civiltà sia andata in fumo allorché l’umanità, con il pretesto del morbo inarrestabile, si è affrettata a riportarsi con perversa frenesia a stadi inimmaginabili di crudeltà e barbarie.
Potrete leggere passaggi come questi:
• Chi ci procurava da mangiare era chiamato uomo libero. Ma solo per scherzo. Noi della classe dirigente possedevamo tutta la terra, tutte le macchine, tutto. Chi ci procurava da mangiare era nostro schiavo. Prendevamo quasi tutto il cibo che ci procuravano e gli lasciavamo quel minimo bastante per sfamarsi, lavorare e procurarsi altro cibo. (…) Ogni procacciatore di cibo che non avesse fatto il suo dovere, lo punivamo o lo costringevamo a morire di fame. Pochissimi osavano. Preferivano procurarci da mangiare, farci i vestiti e prepararci e propinarci mille godimenti e delizie.
• New York e Chicago erano in preda al caos. E quanto era successo lì succedeva in tutte le grandi città. Un terzo dei poliziotti newyorkesi erano morti. Morto il capo della polizia, come pure il sindaco. Scomparsi l’ordine e la legalità. I cadaveri restavano senza sepoltura, abbandonati per la strada. I rifornimenti ferroviari e marittimi di viveri e degli altri generi di prima necessità non raggiungevano più i grandi centri urbani e bande di poveri affamati si erano messe a saccheggiare magazzini e depositi. Imperavano l’assassinio, la rapina e l’ubriachezza. La popolazione era già fuggita in fretta e furia dalla città… per primi i ricchi, a bordo delle loro automobili e dei loro dirigibili, seguiti dalle masse appiedate e affamate, portandosi dietro la peste, saccheggiando lungo il tragitto le fattorie e i villaggi, ogni centro abitato.
• Da sessant’anni il mondo ha cessato di esistere per me. So che devono esserci posti come New York, l’Europa, l’Asia e l’Africa; ma non se ne hanno più notizie… da sessant’anni. Con l’arrivo della Morte scarlatta il mondo è andato in pezzi, nel modo più assoluto e irrimediabile. Diecimila anni di cultura e civiltà svaniti in un batter d’occhio (…).
• Lo spettacolo offerto dalle strade era terrificante. A ogni passo s’inciampava nei corpi. Alcuni non erano ancora morti. E mentre li guardavi, li vedevi sprofondare nelle grinfie della morte.
• Il fumo dei roghi offuscava i cieli e il mezzogiorno sembrava un crepuscolo buio e, con le folate di vento, a volte il sole filtrava appena, un globo rosso cupo.
• C’era una drogheria, un posto dove si comprava roba da mangiare. Il proprietario – che conoscevo bene –, un tipo tranquillo, misurato, ma stupido e caparbio, si accaniva a difenderla. Le vetrine e le porte erano sfondate ma lui, all’interno, nascosto dietro il banco, prendeva a revolverate un gruppo di uomini che tentava di fare irruzione dal marciapiede. All’ingresso c’erano vari cadaveri… di uomini, capii, che aveva ucciso nel corso della giornata. (…) Non accorsi in aiuto del droghiere. Non era più tempo per gesti simili. La civiltà crollava e ognuno doveva pensare a se stesso.
• Dall’oscurità caliginosa giungevano le grida acute di una donna che chiedeva aiuto. Mi guardai dall’intervenire. Troppe le invocazioni di aiuto che si udivano; scene così erano fatte per indurire i cuori.
• Nel cuore della nostra civiltà, nei bassifondi e nei ghetti operai, avevamo allevato una genia di barbari, di selvaggi; ora, nel momento della sventura, da quelle bestie feroci che erano si rivoltavano contro di noi per distruggerci, distruggendo così anche se stessi. Si caricavano con l’alcol e commettevano ogni sorta di atrocità, e nel clima diffuso di follia finivano per accapigliarsi e uccidersi.
• (…) morivano tutti, i buoni e i cattivi, i vigorosi e i debilitati, chi amava la vita e chi l’aveva a sdegno. Si estinguevano. Tutto si estingueva.
• Il grande mondo da me conosciuto durante l’infanzia e la prima giovinezza è scomparso. Ha cessato di esistere. Io sono l’ultimo sopravvissuto dai tempi della peste, il solo ad aver conosciuto le meraviglie di quell’epoca lontana. Noi che avevamo dominato il pianeta, la sua terra, il suo mare e il suo cielo, noi che eravamo veri propri dèi, ora viviamo allo stato selvaggio, primitivo (…).
• Aumentiamo rapidamente e ci prepariamo a dare una nuova scalata alla civiltà (…). Ma sarà lenta, molto lenta; dobbiamo risalire un’erta china. Siamo caduti così irrimediabilmente in basso. Se fosse sopravvissuto almeno un fisico o un chimico. Ma è andata così e noi abbiamo dimenticato tutto.
• La polvere da sparo tornerà. Niente potrà impedirlo… la stessa vecchia storia si ripeterà. L’uomo si moltiplicherà e gli uomini si combatteranno. La polvere da sparo permetterà agli uomini di uccidere milioni di uomini, e solo a questo prezzo, con il fuoco e con il sangue, si svilupperà, un giorno ancora lontanissimo, una nuova civiltà. E a che pro? Come la vecchia civiltà si è estinta, così si estinguerà la nuova. Ci vorranno forse cinquantamila anni per costruirla, ma finirà per estinguersi. Tutto si estingue. Sussisteranno solo la forza e la materia, in perenne mutamento, che a furia di agire e reagire realizzeranno i tre tipi eterni: il prete, il soldato e il re. (…) Ci sarà chi lotta, chi comanda e chi prega; e tutti gli altri faticheranno e soffriranno assai mentre sulle loro carcasse sanguinanti tornerà sempre e comunque a innalzarsi in eterno la bellezza stupefacente e la meraviglia incomparabile della civiltà.
Cos’altro aggiungere?
La peste scarlatta”, pubblicato per la prima volta sul “London Magazine” nel 1912, è uno dei grandi testi visionari di Jack London che, qui, ancora una volta, anticipa temi che diventeranno ossessivi un secolo dopo.