“L’uomo in bilico”, pubblicato nel 1944, è il primo romanzo di Saul Bellow. Scritto in forma di diario, è la storia di un uomo disoccupato di Chicago, delle sue relazioni con la moglie e gli amici, mentre aspetta di essere chiamato a combattere nella seconda guerra mondiale. Il protrarsi dell’attesa porta il protagonista a porsi domande esistenziali sul senso della propria vita.
Potrete leggere passaggi come questi:
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- • Compravo in continuazione
- nuovi, più di quanti, lo ammetto, riuscissi a leggerne. Ma fintanto che li avevo intorno mi davano garanzia di una vita più grande, assai più preziosa e necessaria di quella che ero costretto quotidianamente a vivere.
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- • I suoi completi sono scuri e tradizionali. Le sue scarpe sono a punta e piuttosto raffinate (…) vi è una ragione alla base della sua scelta degli abiti. È una risposta a coloro per cui la sfida consiste nel vestirsi male, per i quali un abito sgualcito è sinonimo di libertà. Vuole evitare i piccoli conflitti del non conformista, per poter concentrare tutta la propria attenzione a difendere le differenze interiori, quelle che contano veramente. Inoltre, prova una soddisfazione triste o passiva nell’indossare quella che chiama “l’uniforme di questi tempi”.
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- • L’aspetto e il comportamento degli uomini riflessivi sono raramente paragonabili a quelli dei meno riflessivi, i quali non esitano ad affidare alla propria faccia e ai propri gesti tutto quello che rappresentano.
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- • Teorie di un mondo totalmente buono o totalmente malvagio gli sembrano stolte. A proposito di coloro che credono in un mondo totalmente buono dice che non capiscono la depravazione. E riguardo ai pessimisti, si chiede: “Ma questi, non vedono altro?”. Per lui il mondo è entrambe le cose, e quindi nessuna delle due. Il semplice fatto di formulare tale giudizio è, per i rappresentanti di entrambe le posizioni, una soddisfazione. Mentre, per lui, il giudizio è secondario allo stupore, all’interrogarsi sugli uomini, gelosi, ambiziosi, buoni, curiosi, quelli caduti in tentazione, quelli con la mente annebbiata e non, ognuno con i suoi tempi, e con le sue strane abitudini e ragioni, ognuno con il proprio elemento di stranezza portato al mondo.
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- • Sì, sparerò, ucciderò; mi spareranno e forse verrò ucciso. Sangue certo sarà versato per motivi nient’affatto certi, come in tutte le guerre.
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- • Veniamo addestrati al silenzio (…) ci viene richiesto di accettare l’imposizione di ogni tipo di ingiustizia, di aspettare in fila sotto un sole cocente, di correre su una spiaggia di ciottoli, di essere sentinelle, esploratori o lavoratori, di essere quelli che erano sul treno quando è esploso, e quelli ai cancelli quando sono stati chiusi, di essere privi di significato, di morire. Il risultato è che impariamo a non avere sentimenti o curiosità nei confronti di noi stessi. Chi può essere appassionato cacciatore di se stesso quando sa di essere a sua volta preda? O nulla di così definito come una preda, piuttosto uno dei tanti pesci che in branco vengono guidati verso la diga.
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- • Il mondo ti insegue. Ti fornisce un fucile o uno strumento meccanico, ti sceglie per questo o quell’altro ruolo, ti porta notizie squillanti di disastri e vittorie, ti sposta avanti e indietro, limita i tuoi diritti, taglia via il tuo futuro, è goffo o abile, oppressivo, infido, assassino, nero, puttaniere, venale, inavvertitamente ingenuo o buffo. Qualsiasi cosa tu faccia non lo puoi congedare.
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- • (…) so da molto tempo che abbiamo ereditato una paura folle di essere
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- o disprezzati, un senso dell’”onore” esacerbato. Non è esattamente la follia dei duellanti del secolo scorso. Ma siamo gente collerica, nondimeno: due parole scambiate in un
- o in un qualsiasi altro luogo affollato, e siamo pronti a saltarci addosso. Soltanto che, secondo me, le nostre sfuriate sono ingannevoli: siamo troppo ignoranti e spiritualmente poveri per capire che ci avventiamo contro il “nemico” per ragioni indistinte di amore e solitudine. Forse, anche, di disprezzo verso noi stessi. Ma, soprattutto, solitudine.
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- • La morte abolisce la scelta. Più la scelta è limitata, più è vicina la morte. La più grande crudeltà consiste nel ridurre le aspettative senza eliminare del tutto la vita. Una condanna all’ergastolo è così.
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- • Inizio a pensare che la ricerca, che essa miri ai soldi, alla notorietà, alla reputazione, ad accrescere l’orgoglio, o che ci conduca al ladrocinio, alla strage, al sacrificio, la ricerca è sempre la stessa. Tutti gli sforzi hanno un solo scopo. Non capisco perfettamente questo impulso. Ma mi sembra che lo scopo ultimo sia il desiderio della pura libertà. Siamo tutti attratti dalle stesse voragini dello spirito – sapere cosa siamo e a cosa serviamo, sapere quale è il senso della nostra vita, cercare la grazia.
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- • Abbiamo paura di governare noi stessi. È normale. È così difficile. Vogliamo subito rinunciare alla nostra libertà. Non è neanche vera libertà, perché non è accompagnata dalla comprensione. È solo una condizione preliminare alla libertà. Ma la odiamo. E subito corriamo fuori, scegliamo un padrone, ci rotoliamo a pancia all’aria e chiediamo il guinzaglio.
Cos’altro aggiungere?
Saul Bellow, diventato ufficialmente cittadino americano nel 1941, stringerà amicizia con gli scrittori John Cheever e Philip Roth; quest’ultimo, alla morte di Bellow, disse: “La colonna vertebrale della letteratura americana del Novecento è stata fornita da due romanzieri, William Faulkner e Saul Bellow”.
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L’uomo in bilico di Saul Bellow
Il romanzo è ambientato a Chicago nel 1942. Joseph, un giovane intellettuale canadese, lascia il lavoro e il suo matrimonio in attesa di essere chiamato alle armi per la seconda guerra mondiale. In questo periodo di sospensione, Joseph si ritrova in uno stato di incertezza e confusione. Si sente estraneo alla società, alla sua famiglia e alla sua stessa moglie.
Nel diario che tiene durante questo periodo, Joseph riflette sulla sua vita e sul suo posto nel mondo. Si interroga sul senso della guerra, sulla libertà e sulla responsabilità. Si sente oppresso dalla sensazione di essere un osservatore impotente degli eventi che lo circondano.
Alla fine del romanzo, Joseph viene chiamato alle armi. La sua attesa è finita, ma non è certo che la guerra gli darà le risposte che cerca.
(ndd)