Difficile parlare di un disco così, di un gruppo così, di canzoni così che hanno testi così: parlarne fa male poiché parla del presente. E il presente fa male.
I Loia si buttano nella mischia per noi, non si tirano indietro ma, anzi, si feriscono con suoni e parole urticanti, violente, cercando un po’ di ragionevole tregua, tra un attacco e l’ altro, con un po’ di sano cinismo, per autoimmunizzarsi e non ferirsi a morte.
“Come si riempie un vuoto?” è la domanda che ci si pone all’ inizio e alla quale si prova a rispondere fino alla fine del disco, dove, però, ci si scontra con un’ altra domanda ancora
“Finirà mai?”
Nel mezzo scorre un flusso di compattezza Crust con tutta la tragicità armonica di un Black Metal affranto e disperato:
il mondo qui descritto è tragico e desolato e, purtroppo, non è molto cambiato rispetto a quello già descritto nel disco “Sotto la mia pelle”, anzi, è riuscito anche a peggiorare; i Loia però son riusciti a migliorare anche o, se non questo, senz’ altro a rimanere coerenti e a non perdere nulla sia nella capacità di esporre, per termini e suggestioni, che in quella di tradurre in trama sonora il mondo osceno che tutte e tutti abbiamo di fronte:
ai temi cari ai fiorentini , come l’arroganza umana, l’ ignoranza umana e la violenza, sempre umana (sia verbale che fisica), le nuove povertà che generano fenomeni come delinquenza e migrazione, l’ onnipresenza del pensiero neo liberale in ogni sua forma sia nella finanza che nel vivere di ognuno, si aggiunge, come in ovvia conseguenza, un vecchio classico al quale, proprio il pensiero liberale, ci ha abituati con evidenti, e sempre più frequenti, ritorni di fiamma:
La guerra.
“e riuniti fra di loro, senza l’ ombra di un rimorso, ci faranno un bel discorso, sulla pace e sul lavoro, per quel popolo coglione risparmiato dal cannone” citano a piene mani da Trilussa i Loia, dimostrandoci quanto i metodi della parte egemone di questo pianeta non brillino certo per fantasia e capacità d’invenzione e che l’ unica soluzione cui riesce a ricorrere per risolvere le sue crisi interne, come, tanto per dirne una a caso, il primato sulla fornitura di risorse energetiche, è sempre stato il conflitto armato.
Il discorso dei Loia, seguendo perfettamente in linea critica le involuzioni del Capitale, riesce a rimanere, in primis, coerente e perfettamente sul pezzo (il riuscire a parlare al presente senza risultare scontati e banali, risultando come uno sprone per le coscienze di tutte e tutti, come si diceva in apertura);
il loro citazionismo è tutt’altro che un gesto fine a se stesso, ma risulta funzionare come una sorta di collante per un movimento, quello generalmente inteso come pacifista, che oramai da secoli si trova purtroppo incanalato nel solito dibattito: la guerra che, spacciata come unica risoluzione possibile di conflitti tra culture e religioni, nasconde in sé l’unico strumento di egemonia culturale nell’ occidente industrializzato e terzializzato e di controllo su paesi del terzo mondo o in via di sviluppo.
Sempre rimanendo sul citazionismo di alto livello, oltre all’ evidente citazione dei Wretched (storico gruppo Anarcho Punk milanese anni ’80, dalle tematiche quasi esclusivamente improntate su di un pacifismo militante) nella conclusiva Finirà Mai?, non si può non segnalare la bellissima Holiday In Camploia che, riproponendo il celebre giro di basso di Holiday In Cambodia dei Dead Kennedys (altro giro, altro pacifismo militante), si evolve in un Blackened Crust senza scrupoli, parlandoci di situazioni di povertà estrema e, riprendendo anche la verve satirica del gruppo di San Francisco, invitandoci ad andare a visitare i luoghi di disagio sociale generati dal nostro benessere di consumatori.
Perfettamente in linea, sia tematica che sonora, con il precedente Sotto la mia pelle, L’ Alba della Preda conferma i Loia come una delle realtà da seguire con più entusiasmo nel panorama Hardcore Punk italiano, ambiente molte volte piagato da un’ eccessiva estetica e da pochissima sostanza, non solo per la qualità media delle canzoni (in verità altissima) ma anche per associarsi ad un pensiero, a degli ideali e a dei luoghi di riferimento (come il Next Emerson di Firenze e alle varie occupazioni del gruppo nato in Viale Corsica) che potrebbero generare un percorso politico sicuramente più fruttuoso, nel campo dei diritti civili, sociali e climatico/ambientali, di quello stabilito e discusso in parlamento.