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Recensione : Alessandro Adelio Rossi – Òpare

Alessandro Adelio Rossi - Òpare: Un’esperienza sonica dove i sensi si perdono all’ interno di stanze vuote, messaggi provenienti da altre dimensioni ed altri universi

Alessandro Adelio Rossi “Òpare”, 2023-DDDD Records

L’ opera va interpretata, a mio modo di vedere, come un unicum o, meglio detto, una suite divisa in sette movimenti distinti cui l’ autore ha dato dei titoli che servissero di riferimento a lui, e lui solo, per condurre un’ operazione encomiabile di destrutturazione nella percezione del tempo;

non so esattamente cosa ho appena scritto o se sono in grado di spiegarlo in maniera più spicciola, vero, però non riesco a pensarla e, quindi, esporla in maniera differente (e queste composizioni, poi, non meritano nemmeno una descrizione spicciola).

Prende i giorni della settimana e li arricchisce nel dettaglio di precisi momenti nel corso degli stessi, per rappresentarli, quindi, si affida ad un ambient proveniente più da un sentire suo proprio che da una reale esigenza artistica (quella semmai va ricercata proprio nell’ insieme e nel risultato finale);

in questa rappresentazione, nella sua quiete di fondo e nell’ essenzialità dei suoni che la compongono, traspare quasi palese come una sorta di invito, a chi ascolta, a non lasciarsi prendere da spasmi e Dostoevskijane febbri cerebrali in seguito ai, purtroppo, classici incidenti di percorso quotidiani; diventa quasi necessario, come premesso in apertura, un lavoro sul tempo oltre che sui suoni:

non c’ è tempo in queste tracce, solo atmosfera; il tempo, il suo scorrere e il suo calcolo, sono i ricatti che ci sconvolgono le esistenze.

Alessandro Adelio Rossi, autore unico di questo lavoro, elimina quindi il tempo da queste sue composizioni e si affida all’ atmosfera, incalcolabile percezione di quello che abbiamo d’intorno e le nostre sensazioni nel viverlo ed affrontarlo.

Quindi, quest’ opera (so che il termine può sembrare ridondante, ma a chiamarlo disco mi pare di mancare il punto e descriverlo malissimo), va vissuta forse senza pensare a titoli, minutaggi e altri confini possibili; lasciar scorrere e non pensare, seguire il flusso sonoro e non la logica, lasciarsi colpire alla sprovvista quando esploderà in un coro medio orientale (non sono così sprovveduto da dirvi quando e in che punto, ho detto che vi dovete annegare in questo disco e annegare sarà quello che farete) e, quindi, farsi risucchiare nel gorgo del suo finale , che un finale neanche è a dirla proprio tutta: una volta ingeriti da queste atmosfere scoprirete che l’ inizio è la fine e viceversa e, si badi bene, non perché sia tutto uguale ma solo perché è perfettamente coerente nel suo amalgama:

nei suoni, nelle atmosfere, nella volontà di narrazione.
Un’esperienza sonica dove i sensi si perdono all’ interno di stanze vuote, messaggi provenienti da altre dimensioni ed altri universi: cifrati e quindi incomprensibili (nulla toglie, tuttavia, che con gli ascolti diventino comprensibili e spendibili nella vita di tutti i giorni: ciò che oggi ci pare occulto potrebbe diventare il nostro futuro prima o poi)

Non so se l’ autore avesse una volontà politica a monte di questo disco, ma certamente riesce nel compito di creare come un’ isola distante dal resto del quotidiano durante l’ ascolto; un’ isola che, si spera, poco a poco espanderà i suoi confini fino a toccare il reale.

Direi che quindi questo disco può essere preso come un’ occasione per dedicare del tempo a se stessi (un classico buon proposito da fine anno, solo che, a questo giro, è da prendersi sul serio) e rivalutare il proprio piano d’azione.

Stimola al dialogo interiore, cosa che facciamo sempre meno, e potrebbe pure portare a mirare verso nuovi e più entusiasmanti obbiettivi.
Insomma, un’ occasione da non perdere.

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