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ZETA 05

Quinta puntata avvincente del nostro racconto a puntate...

ZETA 05

PRIMA PUNTATA  – ZETA 01
SECONDA PUNTATA – ZETA 02
TERZA PUNTATA – ZETA 03
TERZA PUNTATA – ZETA 04

QUINTO

– Ti ho lasciato la colazione sul tavolo
Jim spalancò gli occhi, provò a tirare fuori una mano per prenderla ma nel sonno si era aggrovigliato con le lenzuola e muoversi risultò impossibile. Provò a chiamarla ma la voce non volle uscire.

Quando riuscì a liberarsi dalla presa della stoffa corse fuori senza pensare a vestirsi. Uscì così come era saltato dal letto.

Riuscì solo a infilarsi un paio di scarpe forse non sue. Continuò a correre senza meta, percorse qualche centinaia di metri e davanti a sé ritrovo il vecchio beone.

– Ancora tu

– Tu chi saresti?

– Chi sarei?

– Certo

– Ci siamo incontrati ieri

– Io non so assolutamente chi tu sia

Jim ebbe un moto di ira incontrollabile e insolita nel suo animo.

– Brutto vecchio bastardo beone, ci siamo incontrati ieri –
– Lascia stare gli insulti. Non ti ho mai visto prima. Sei pazzo?

– Pazzo? Si lo sto diventando a causa vostra. Civiltà assurda e idiota

– Senti ragazzo sei sconvolto e vestito male. Siediti qui con me. Ho un ottimo vino offerto da un benestante

– Io vestito male? Ma ti sei visto? E poi non m’importa, io devo arrivare ad una spiegazione.

Tu mi hai parlato di una trappola dalla quale non riesci ad uscire, della storia dell’uomo che cerca

l’autodistruzione e tutte quelle cose incomprensibili…

– Questo è vero, noi uomini ci autodistruggiamo e lo faremo fino a portarci alla nostra estinzione, ma la tua faccia non l’ho mai vista

Il cuore pulsava nelle vene, poteva sentire il battito anche negli occhi. Il fiato era corto, al limite dell’apnea.

Lo guardava con odio, gli occhi iniettati di paura e insicurezza. Le mani tremavano, i nervi davano scosse ad ogni movimento accidentale dei bulbi oculari. Marika gli si palesò nella mente, lei, newton, quella gente.

– Dai calmati. Siediti qui acanto a me e raccontami

Lo fissava con terrore e rabbia, ma il tono della voce di quell’essere lo tranquillizzava. Si sedette accanto a lui e, presa in mano la bottiglia, diede un grande sorso.

– Davvero non ricordi?

– No, non so chi tu sia

– Ma questo è assurdo, anche il cameriere e il proprietario del ristorante non sapevano chi io fossi

– Allora non sei mai esistito?

Disse ridendo il clochard

– Non sono mai esistito

– “Ma allora perché Marika riesce a ricordarsi me?”

Pensò Jim.

– Però ora sei qui. Ti vedo

– Già ma domani non saprai più chi sono

– Domani. Il domani non esiste, esiste questo momento che mentre parliamo è già trascorso

– Ma io, non capisco

Il senso di vuoto ricoprì il corpo di Jim, non un pensiero articolato nella testa, la dispersione dei sensi.

– Sembri sconvolto

– Lo sono, non riesco a capire cosa mi stia accadendo, ieri eravamo qui a parlare e oggi non sai chi io sia. Il cameriere aveva dimenticato il mio viso. La ragazza di newton mi ha baciato e poi si è volatilizzata. E quella ragazza che ogni mattina si dilegua dalla mia vista
– Cosa stai farneticando?

– Farneticando? Sto cercando aiuto, delle risposte. Un attimo di pace e sicurezza.

– Ragazzo bevi e non ti curar del male

Bevve ancora, finì quasi la bottiglia. La vista iniziava ad appannarsi mentre i passanti continuavano a gettare monete nel cappello del senza tetto.

– Guarda quante belle monete. Perché non andiamo a prenderne un’altra

Jim non oppose resistenza, ormai l’alcool era padrone dei suoi sensi e della sua volontà. Si fece trascinare dall’uomo senza opporre resistenza.

– Vedi? Ora sei più sereno. Era sufficiente una sana dose di siero degli dei. Sai anche gli antichi greci amavano questo genere di cose

– A me non interessa dei greci

– Sbagli. Ma ognuno di noi è libero di scegliere

– Allora io scelgo di tornare alla mia vita

– Quale vita?

– Io… io non lo so più

– Allora stai inseguendo il nulla. Resta con me e sarà una vita nuova

– Con te? Sei pazzo, tu stupido ubriacone maledetto. Accattone e senza speranza. Lasciami stare

– Ti lascio stare ma nel frattempo ti sei finito il mio vino

– Te ne compro quante ne vuoi di quelle bottiglie

– Coraggio allora, va la dentro e comprane quante più ne puoi

Lo smarrimento di fronte a quella sfida fu tale da impedire al sangue di arrivare al cervello. Entrò nel negozio e afferrò quante più bottiglie potessero portare le sue mani.

– Come hai intenzione di pagare tutto questo?

Chiese la cassiera

– Io non lo so, sono corso fuori senza vestiti

Il barbone entrò in suo aiuto, pagò e lo prese per mano.

– Non giudicare dall’aspetto. Io so cosa stai vivendo

Aprì una bottiglia, diede un sorso e lo invitò a bere ancora. Jim allibito e sconcertato accettò ancora l’invito mentre la testa girava senza senso. Non distingueva più le forme attorno a lui e la paura si fece brutale.

– Se vuoi uscire da qui devi volerlo

– Io voglio

– Non abbastanza

Jim non capiva, l’alcool era elevato nelle vene e i pensieri, già demoliti dalla situazione, divennero ancor più confusi.

Si sdraiò a terra e il vecchio lo coprì con la sua maglia lurida e fetente.

– Che odore orribile

– Non credere che vivere in strada sia dolce e delicato

– Non l’ho mai pensato

– Allora taci. Hai smarrito la via. Io per cercarla ho iniziato a bere ogni cosa alcolica mi passasse davanti fino ad arrivare qui

– Qui dove? Davanti a un negozio a mendicare?

– Taci. Stolto. Cosa ne sai tu di quello che ho passato io?

– Io non ne ho idea

– La mia storia è lunga e triste. Parla di uomini incapaci di intendere le donne, di donne che vorrebbero ma non parlano sino al giorno dell’addio. Di rimpianti, rimorsi, incoerenza, promesse mai mantenute, solitudine e malessere generati dall’egoismo che brutalmente rapisce e uccide ogni molecola di vita. Io sono qui, posso offrirti solo ciò che vedi se decidi di restare

Jim tentò di alzarsi. Il vecchio non lo aiutava.

– Aiutami ad alzarmi

– No. devi cercare da solo la forza.

Non fare come me
– Raccontami cosa ti è capitato

– Nulla. Lo capirai da solo.

Enigmatico e apparentemente privo di senso, il vecchio parlava di situazioni incomprensibili, vissute sulla propria pelle.

– Anche se te lo raccontassi non capiresti. Di fronte al male ci si deve trovare per comprenderlo. E a volte non è abbastanza, ci sono momenti in cui tu stesso devi essere il male. L’esperienza degli altri resterà per sempre degli altri, trova la tua unica esperienza per comprendere il male. Il tuo stesso male

Il ragazzo non capiva quelle parole, tentò di raggiungere una spiegazione ma l’alcol lo fece addormentare senza rendersene conto. Quando rinsavì, il vecchio era sparito e le pareti attorno a lui erano formate da bottiglie di vetro vuote.

Muri alti tre metri o più che si allungavano all’infinito lungo la strada. Si alzò a fatica appoggiandosi alla catasta di bottiglie li vicino.

Si reggeva a malapena sulle gambe, si gettò con la spalla verso il muro per appoggiarsi e prese a

camminare strisciando sul vetro. Camminava ma non vedeva la via d’uscita di quel labirinto di vetro

colorato. Il verde, il rosso, il bianco, il giallo, la testa girava all’impazzata, le gambe non rispondevano ai comandi del centro nevralgico. Ad ogni angolo corrispondeva una via più lunga ed un’altra più lunga.

– Ancora tu?

– Ci conosciamo?

– Non ricordi alla festa. Eri tu
Jim la riconobbe. Le si avvicinò, lei fece un passo indietro. Lo sguardo perso e spento di Jim la impauriva, aveva il terrore negli occhi. Il male dentro Jim fuoriusciva dalle sue pupille. Il labirinto lo aveva portato alla follia bruta dell’esasperazione per non trovare un’uscita, per aver incontrato un’altra persona che non poteva riconoscerlo. Lei era di nuovo davanti a lui ma Jim non sapeva più parlare, aveva perso l’uso della parola. Bloccato da quel miscuglio di paura, ira, sostanze e senso di perdizione.

– Baciami

Le disse, con un tono mostruoso. Il terrore della ragazza salì allo zenit. Jim cercò di inseguire la fuga dell’essere meraviglioso che aveva incontrato ma le gambe erano immobili e non volevano muoversi.

Cadde a terra, le mani iniziarono a sanguinare e in alto i muri di vetro crescevano a dismisura.

La paura aumentava, le scosse dei nervi divenivano insopportabili, l’astinenza era conclamata.

Il male si era impossessato di lui fino a diventare egli stesso non solo il male in persona ma anche la causa del suo stesso dolore. Tutto ciò sembrava essere la trasposizione di quello che stava accadendo. Era lui stesso a provocarsi quel dolore e quell’ansia che lo stavano accompagnando in quei giorni deliranti.

Non aveva avuto senso reagire in quel modo assurdo con una creatura innocente e totalmente estranea a lui, come non aveva avuto senso rivolgersi in quel modo con un uomo che tentava di aiutarlo, eppure non poté farne a meno. Si sentiva lurido e fetente, bisognoso di sostanze e distrutto dall’esistenza.

A terra, senza forze, senza volontà propria iniziò a piangere tanto da stancarsi e cadere in un sonno

profondo. Si svegliò ai piedi della collinetta di Newton. Non c’era nessuno attorno all’albero ma qualcosa pendeva da uno dei suoi rami. Incuriosito da quella forma familiare, si avvicinò.

Mano a mano che si avvicinava la forma prendeva sempre più le sembianze di un uomo. Pochi passi dopo se la ritrovò sopra la testa. La sua vista non lo aveva ingannato era un uomo quello appeso per il collo al ramo di newton. Girò attorno a quella scena per cercare di capire chi fosse e, quando raggiunse il volto del cadavere, ebbe un sussulto. L’appeso aveva le palpebre spalancate e gli occhi rivoltati.

Quando Jim emise il suo suono di terrore, sulle labbra dell’uomo apparve un sorriso demoniaco che fece aumentare lo spavento. Immobile con il fiato sospeso ebbe la lucidità di guardarlo a fondo notando una somiglianza. L’appeso aveva addosso meno chili di Jim, aveva il volto scavato e i capelli bruciati dal tempo ma quelle sembianze era le sue. Jim stava guardando se stesso schiacciato dal male auto-generato dentro di se.

Il vento freddo e sferzante sulle gote bagnate, gli fece riprendere i sensi. Le lacrime, durante il sonno, erano cadute una ad una a terra e Jim le guardava scorrere davanti a lui. Il rivolo aveva seguito la direzione dell’ombra del ragazzo proiettata a terra. Lo seguì strisciando sui gomiti senza osservare dove lo stesse conducendo.

Cieca fiducia nel dolore che stava provando in quei giorni di pura follia. Anche la sua anima sembrava tremare senza sosta.

Il rivolo, lentamente, lo stava portando lontano dai muri di vetro. Alzò lo sguardo e vide fuori da quei muri la città che piano piano si disegnava nella sua mente. La salvezza lo fece ridere istericamente mentre le lacrime continuavano a cadere a terra.

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