Restare fuori dalla politica negli anni settanta era quasi impossibile. Il calcio ha rappresentato una delle poche “isole infelici” in questo senso. Un mondo ovattato, di professionisti elitari, del tutto avulso dal fermento delle lotte sociali che in quegli anni infiammavano le strade.
L’unica (o quasi) eccezione è rappresentata da Paolo Sollier, calciatore piemontese che ha raccolto i suoi momenti di gloria nel biennio perugino. Con la promozione in serie A del 1974-75 e la tranquilla salvezza dell’anno seguente. Unica per quanto conosciuto. Non è escluso che altri la pensassero come lui, ma di certo, Sollier è stato quello che non ha avuto paura di metterci la faccia. Anche a discapito della propria carriera.
“Calci e sputi e colpi di testa”, andato in stampa per la prima volta nel 1976 e ristampato in una nuova veste ampliata un paio d’anni fa grazie a Mimesis Edizioni, è il racconto autobiografico di un calciatore atipico. Gli avvenimenti sportivi fanno da contorno alle vicende sono marginali, e del tutto avulsi da quello che Sollier racconta. Sono la lotta e l’impegno politico i cardini del suo raccontarsi. Che Sollier faccia il calciatore o il metalmeccanico non cambia nulla riguardo alla sostanza della narrazione. Sollier è un uomo che fa dell’integrità morale il proprio caposaldo.
E come tutti quelli che cercano di restare loro stessi in questo mondo finirà per essere sconfitto dagli eventi, ma non ridimensionato o minato nelle proprie convinzioni. Le sue idee sono impermeabili, e restano salde, senza essere minimamente influenzate dallo stipendio decisamente sopra alla media dei suoi coetanei che lavorano in fabbrica.
Prova ne è il fatto che Sollier destini parte della sua remunerazione ai circoli operai e alla lotta antagonista di quegli anni, tenendo per sé solo una parte. Ma non solo, al contrario dei suoi colleghi contemporanei, isolati in edifici impenetrabili, Sollier amava vivere nelle comuni, o, in alternativa, in appartamenti condivisi con altre persone, spesso lontanissime da quel mondo dorato rappresentato dalla sua professione.
Il “compagno Sollier” divenne immediatamente un caso all’interno di un mondo asettico come quello calcistico, che ha sempre cercato di nascondere tutto quello che non risulta omologato, e che esula dai rigidi dettami della corporazione. Il calcio storicamente non ha mai ritenuto di doversi schierare. Né a favore né contro.
E in tutto questo religioso osservare regole calate dall’alto, il saluto a pugno chiuso alzato con cui Sollier accompagnava ogni sua realizzazione, e salutava gli ultrà dell’Armata Rossa della curva nord del Perugia, divenne immediatamente un gesto che passò alla storia per la sua “irriverenza”. Il mondo del calcio restò scosso: esisteva un calciatore comunista! Sollier però non si fermava alla contestazione. Cercava di coinvolgere i compagni di squadra in un processo di crescita collettiva. Era solito infatti regalare libri, sia al mister che ai compagni, in modo da provare a cambiare un mondo fatto di persone che si crogiolavano nella propria ignoranza, e che non facevano mistero, né si vergognavano del fatto di non leggere praticamente mai.
Quello di Sollier è un racconto autentico, senza filtri, che non fa sconti a nessuno, meno che mai a se stesso. Una critica a tutto tondo a un mondo che sta cambiando, e sta prendendo una direzione che non gli piace.
Il partito, i sindacati, i rapporti interpersonali, le donne, il lavoro, tutto viene messo in discussione, e tutto, puntualmente, finisce per portare il ragionamento su piani che non gli sono consoni. Sollier è un pensatore atipico, ma sincero, che resta legato a Avanguardia Operaia in un mondo che sta andando incontro agli anni ottanta più velocemente di quanto non si pensi.
Oggi Sollier è lontanissimo dal mondo del calcio, ma non ha perso la sua passione. Originario della Val di Susa, segue da vicino e partecipa attivamente alle iniziative del movimento no tav dalla sua casa a Vercelli.