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Recensione : KID CONGO & PINK MONKEY BIRDS – THAT DELICIOUS VICE

Quando sai che là fuori è uscito del nuovo materiale pubblicato da una piccola grande leggenda del rock ‘n’ roll come Kid Congo Powers (ex chitarrista di Gun Club, Cramps e Nick Cave & the Bad Seeds, giusto per citare alcune band in cui ha militato il nostro) inevitabilmente si drizzano le antenne uditive e ci si mette all’ascolto, con la fondata certezza di non rimanere delusi dalla bontà della proposta, divenuta sempre più sfaccettata e variegata negli anni.

Rimessi in moto i suoi Pink Monkey Birds, a tre anni di distanza dall’Ep “Swing From The Sean DeLear” e a ben otto dall’ultimo studio album, “La araña es la vida“, il mese scorso Kid Congo e sodali (oggi il gruppo è ridotto a un trio, completato dal polistrumentista Mark Cisneros e da Ron Miller alla batteria) hanno dato alla luce il settimo lavoro sulla lunga distanza, “That delicious vice“, un disco che, nei suoi dieci brani, si snoda lungo due anime soniche equamente divise.

Introdotto dallo strumentale “East of east“, il long playing presenta una prima parte più viscerale e d’impatto, col frontman californiano a sciorinare il consueto bagaglio garage/psychedelic soulful Chicano rock ‘n’ roll nel singolo “Wicked world” (in un duetto che vede la partecipazione dell’iconica punk rocker losangelina Alice Bag, che ha anche scritto il pezzo ed è presente alla voce in altre quattro tracce) e nelle successive “A beast, a priest” (altra canzone firmata dalla Bag) “The boy had it all” (dedicata all’amico scomparso Howie Pyro) e “Silver for my sister” (il momento dell’Lp che si avvicina maggiormente alle atmosfere dei Gun Club) che chiude il primo lato. Dalla title track in avanti, l’opera cambia registro, incorporando elementi latino-caraibici (come il cha cha cha elettrico di “Ese vicio delicioso“) spoken word notturno jazzato a due voci (Kid e Alice) in “The smoke is the ghost“, con un altro intermezzo strumentale (“Las Vegas interlude“) a preparare il terreno per i due atti conclusivi, la sognante e spaceyNever said” che fa fluttuare l’ascoltatore, sospeso nella brezza desertica californiana, e la vera perla del full length, “Murder of sunrise“, lunghissima piece cinematica dal mood minaccioso e dal feeling Lynchiano (fossimo nei panni del buon David, la prenderemmo in seria considerazione come opzione da inserire nella soundtrack del suo prossimo film).

Certi dischi somigliano a un delizioso vizio che il signor Brian Tristan non vuol smettere mai, e infatti continua a sperimentare con nuovi universi sonori. E noi ringraziamo.

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