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Recensione : THE QUEEN IS DEAD VOLUME 104 – Combichrist, Zu, Bass Communion, Lost In Exile

Combichrist, Zu, Bass Communion, Lost In Exile: partiamo dalla aggrotech per continuare con il jazzcore, l'astrattismo elettronico per finire con un poò di death

THE QUEEN IS DEAD VOLUME 104 - Combichrist\Zu\Bass Communion\Lost In Exile

Partiamo dalla aggrotech per continuare con il jazzcore, l’astrattismo elettronico per finire con un pò di death

COMBICHRIST

I Combichrist o li si ama o li si odia. Industrial metal e aggrotech, eccessi sonori e non solo, un oltranzismo elettronico che ha la sua coerenza nel non aver nessuna coerenza, anticipatore di suoni e atmosfere, colonna sonora per apocalissi al silicio, page 404 della nostra esistenza.

“CMBCRST” è il nuovo disco in uscita per Rough Trade Believe, nuovo capitolo di questa elettronica estrema che si incontra con il metal in maniera violenta e demoniaca.

Il disco è in parte il compendio di tutta la carriera del gruppo del norvegese Andy LaPlegua, ovvero come spingere il limite sempre più in alto, e ci riesce benissimo disco dopo disco. “CMBCRST” è uno dei migliori lavori dei Combichrist , possiede la stessa violenza nichilista e lussuriosa degli altri dischi e con una prevalenza di elettronica distorta e malata si annida ancora di più in profondità, rimanendo nel lato oscuro del nostro cervello, dando quel brivido che conosce bene chi ama questo gruppo.

La produzione è sontuosa e permette a LaPlegua di compiere varie esplorazioni sonore che potrebbero rappresentare il futuro di questo gruppo che musicalmente è sempre avanti. Il disco possiede tutte quelle caratteristiche che i Combichrist hanno sempre rappresentato, in bilico fra industrial metal e aggrotech ovvero quell’elettronica deviata che estremizza la ebm, paranoia composta attraverso computer, un tarlo che tutto corrode e non risparmia niente e nessuno.

Questo lavoro rappresenta la grandezza che questo gruppo ha in un ambito underground eppure importante, e sembrerà una scemenza a chi non li ama, all’inverso chi li apprezza troverà qui un piacere sadomaso incredibile.

ZU

Nati nel 1995, ma già attivi in precedenza con altri progetti gli Zu ovvero Jacopo Battaglia, Luca T. Mai e Massimo Pupillo, hanno pubblicato nel corso della loro storia quindici dischi e hanno calcato moltissimi palchi, e tutto ciò ha avuto inizio con questa cassetta intitolata semplicemente “Demo” del 1997, andata presto esaurita anche per gli stessi Zu e oggi remasterizzata e pubblicata come “The Lost Demo” da Subsound Records.

La cassetta ha una genesi particolare come è particolare il gruppo che è la cosa musicale più al di fuori degli schemi che possiamo trovare in Italia. I tre musicisti all’epoca facevano tutti lavori notturni e suonavano di giorno in una saletta dove dormivano anche, sviluppando il loro suono partendo dall’amore comune per NomeansNo e Ruins, che sono sempre state le loro principali artistiche.

Partendo da questi punti fermi gli Zu sono diventati un gruppo free a tutti gli effetti, nel senso che hanno sviluppato un percorso sonoro fatto di impro jazz, free jazz, noise, math e alcuni pesantissimi passaggi metal.

La loro musica è assai difficile da incanalare, è un flusso energetico che scorre libero e tortuoso, con il ritmo come unico vettore e lo si sente molto bene fin da questa prima cassetta. “The lost demo” è un tesoro molto prezioso che ci fa sentire che dopo due anni di lavoro in saletta gli Zu sono partiti con certe idee in testa con le quali sono stati sempre molto coerenti.

Questa cassetta è devastante dall’inizio alla fine, ci sono milioni di deviazioni musicali diverse, ci sono frattali temporali e caos definitivo e dominante, il sax baritono di Luca T. Mai è pazzesco, il basso di Massimo Pupillo scava nelle profondità neuronali, con la batteria e l’elettronica di Jacopo Battaglia che domina lo sfondo.

Altro elemento molto prezioso di questa opera prima è il violoncello di Francesco Chiari che fa delle apparizioni molto belle e si integra perfettamente nel caos degli Zu.

Una cassetta ritrovata che vale tantissimo, un inizio di una carriera che dura tuttora e che è una delle parabole musicali italiane underground fra le più importanti, ricche e libere, per un gruppo che fa genere a sé, e che in ogni disco che ha fatto a partire da questo ha sempre sparigliato le carte.

Altre recensioni: 

Zu – Jhator
Zu – Cortar Todo
Zu + Eugene S. Robinson – The Left Hand Path

 

 

BASS COMMUNION

Torna a distanza di dodici anni dall’ultimo lavoro il progetto elettronico di Steven Wilson, Bass Communion con il disco dal titolo “The itself of itslef” su Fourth Dimension/Lumberton Trading Company. Wilson è una delle personalità musicali più universali e importanti degli ultimi quarant’anni.

Milita e ha militato in gruppi come Porcupine Tree, Blackfield, Storm Corrosion, No-Man, è un acclamato produttore di ottimi dischi, e anche uno dei migliori ingegneri del suono in giro, e vive la musica nella sua totalità.

Questo progetto elettronico Bass Communion nacque a metà dei floridi anni novanta per esplorare generi e sottogeneri come l’ambient, il drone e l’elettronica più dilatata ed oscura. In questo lavoro Wilson trasmette, come in tutto quello che produce, il concetto assoluto di musica, nel senso di suono slegato dal tutto, proveniente dal suo alveo originale senza lacuna interferenza e senza alcun adito commerciale.

Le tracce sono puro ambient e drone, astrattismo sonoro, non è musica nel senso comune e di intrattenimento del termine. Si viene immersi in una vasca per la deprivazione sensoriale, e gli input sonori di Wilson ci portano lontano, sintonizzandosi su di una frequenza aliena e meravigliosa.

Chi non ama l’elettronica più astratta e metafisica non amerà questo disco, mentre chi ama insinuarsi nei cavi di computers che vibrano qui troverà il suo nirvana.

Wilson non è un Re Mida che rende oro tutto ciò che tocca, bensì un artista che si cimenta solo in quello di cui è convinto, e questo disco dopo uno hiatus di dodici anni è il miglior ritorno possibile per l’avventura Bass Communion.

LOST IN EXILE

I Lost In Exile sono un gruppo death metal melodico e modern metal provenienti dalle vicinanze di Chicago e questo “Dathbed dreamer” è il loro debutto discografico dopo essere nati nel 2023.

I componenti del gruppo hanno militato in diversi gruppi di melodic death metal come Âstillian, The Oblivion Archetype, and Society’s Plague, e hanno deciso di mettersi assieme per fare qualcosa di importante.

Partendo dall’insegnamento dei numi tutelari del death metal melodico come In Flames, Soilwork e Threat Signal i Lost In Exile producono una forma personale e molto ben costruita, molto fresca e moderna.

Il gruppo americano riesce a mettere molto bene assieme diverse istanze, a partire dall’aggressività che si coniuga molto bene con una notevole melodia, avvantaggiati da una produzione notevole e sempre puntuale.

I Lost in Exile firmano un debutto bello carico e devastante di death metal melodico con molti elementi di metal moderno, stacchi e ripartenze notevoli, il tutto con una melodia importante e ritornelli da cantare sotto al palco.

Il loro suono è molto americano e aperto anche a chi è lontano dal metal, sicuramente un gruppo che si ritaglierà il suo spazio con il tempo.

 

 

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