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Recensione : :: ACUFENI :: FASTIDI AURICOLARI CONTEMPORANEI #9

:: ACUFENI :: FASTIDI AURICOLARI CONTEMPORANEI #9: Harvestman, Greeenleaf, Goat Major, Echoplain, Crowskin / Bad Luck Rides on Wheels.

Crowskin / Bad Luck Rides on Wheels “Verstummt / Monocelestial Chords” – Exile On Mainstream Records

Lo split esce solo adesso, ma l’idea è nell’aria da diverso tempo. Sta di fatto che finalmente Crowskin e Bad Luck Rides on Wheels sono riusciti a metterla in pratica, dando alle stampe questo loro “Verstummt / Monocelestial Chords Split” recentemente uscito per Exile On Mainstream Records.

Un album che vede come minimo comun denominatore una catarsi sonora tanto minimalista quanto intensa. Una colata lavica di negatività che travolge ogni sentimento che non sia indirizzato verso la sua accezione più negativa e nefasta. Tre brani su un lato per i Crowskin e uno soltanto per Bad Luck Rides On Wheels sull’altro.

Un album che trasuda frustrazione, e che cerca di rendere tutto questo “negative approach” quanto più tangibile possibile. Sia Crowskin che Bad Luck Rides on Wheels arrivano entrambe da quella che un tempo era la Germania Est, segno che tutto questo nero che hanno davanti agli occhi non è per nulla casuale.

Suoni che vengono dall’oscurità e che mirano a mantenerla viva.

Echoplain “In Bones” – Araki Records

Il trio francese arriva al secondo album, dopo l’EP di esordio, e quel “Polaroid Malibu” che nel 2021 li aveva fatti conoscere in giro in modo più approfondito.

“In bones” è sulla falsariga di quello che già avevamo intuito, un’intransigenza sonora che cerca però di liberarsi dagli eccessi, puntando al noise, e cercando di raggiungerlo per vie traverse, evitando le scorciatoie facili della cacofonia e dei volumi a manetta.

Un album che mostra una band che riesce ad essere sempre a fuoco in ogni brano, senza perdere mai la bussola, consapevole di quello che ha in mente, e del modo da intraprendere per inculcarcelo. Post punk noise rock chiamatelo come volete, per noi è solo un album che fugge dai compromessi, e stravolge i nostri padiglioni auricolari con un assalto diretto, mirato e preciso.

Quando gli Echoplain riusciranno a coniugare le trombe che hanno inserito – purtroppo per noi – solo in un brano di questo loro “In bones” allora sì, potremmo gridare davvero di gioia.

Confidiamo nel prossimo per un ulteriore step di crescita e di personalità.

Goat Major “Ritual” – Ripple Music Records

Nonostante una copertina che va di diritto nel ristretto novero delle peggiori che abbia mai visto, “Ritual” dei gallesi Goat Major è un album di grande spessore artistico. Un autentico macigno, imperioso, che soffoca ogni nostra velleità, andando a spegnere sul nascere ogni tentativo di fuggire dal muro sonoro che il trio britannico ha saputo erigere.

L’album è costruito sul tentativo – riuscito – di creare un megalite sonoro, e quindi necessita di un volume adeguatamente alto per poterlo apprezzare in modo esaustivo. Non c’è nulla di particolarmente innovativo, la loro proposta è facilmente inquadrabile nel filone britannico più occulto del doom, quello che guarda meno alle contaminazioni e agli eccessi.

Ma si tratta di un ottimo esempio di come si suona questo genere.

Greeenleaf “The Head & The Habit” – Magnetic Eye Records

Mono album per gli svedesi Greenleaf, “The Head & The Habit” rappresenta l’ennesimo passo in avanti per una band che ha sempre avuto le idee chiare su quella che avrebbe dovuto essere la propria strada.

Oggi a distanza di oltre vent’anni dall’esordio discografico i Greenleaf possono senza dubbio dire di avere un’identità cristallina, maturata nel corso degli anni, che li porta ad essere una delle realtà sonore scandinave più interessanti.

Concettualmente quasi un album tematico che prende spunto dalla realtà di vita del cantante, educatore alle prese con persone che soffrono di problemi di abuso di droghe e salute psicologica, l’album riflette in pieno questo caleidoscopio di sensazioni altalenanti, ma senza perdere mai di vista il groove fuzz oriented.

Un album che ha la faccia tosta di proporre un sound che andrà ad accontentare una platea davvero ampia di ascoltatori.

Harvestman “Triptych Part One” – Neurot Recordings

Steve Von Till non vuole, o meglio, forse, non sa, restare fermo. “Triptych Part One” è il primo atto di una trilogia che non possiamo perdere. E non solo perché siamo da sempre suoi fedelissimi, ma perché si tratta di un lavoro che merita davvero attenzione. L’album sancisce l’ennesima incarnazione di un artista a tutto tondo che mostra, ancora una volta, tutto il suo potenziale.

Concettualmente ispirato ai cicli della natura, che andranno infatti a scandire la periodicità delle release, l’album ci conduce attraverso un mondo rarefatto, dove il termine folk apocalittico prende una sfumatura dalla forte impronta psichdelica che ancora nessuno forse era riuscito a trasmettere con questa intensità.

Un’esperienza sensoriale di primissimo piano, giocata sui riverberi, per una visione ancestrale, ma eterna, dell’incedere del tempo.

Un album che fa del misticismo una delle caratteristiche principali del suo essere, della sua concretezza, del suo assolutismo.

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