Si riprova a volare alto in questo nuovo studio album (il quarto complessivo) dei DIIV, combo indie/shoegaze newyorchese che a maggio ha pubblicato “Frog in boling water” (su Fantasy Recordings) che nel titolo cita la teoria della rana bollita, presente nel novel filosofico “The Story of B” di Daniel Quinn (un principio ripreso anche dal noto linguista, filosofo e attivista politico statunitense Noam Chomsky):
“Immaginate un pentolone pieno d’acqua fredda, nel quale nuota tranquillamente una rana.
Il fuoco è acceso sotto la pentola, l’acqua si riscalda pian piano. Presto diventa tiepida. La rana la trova piuttosto gradevole e continua a nuotare. La temperatura sale.
Adesso l’acqua è calda. Un po’ più di quanto la rana non apprezzi. Si stanca un po’, tuttavia non si spaventa.
L’acqua adesso è davvero troppo calda. La rana la trova molto sgradevole, ma si è indebolita, non ha la forza di reagire. Allora sopporta e non fa nulla.
Intanto la temperatura sale ancora, fino al momento in cui la rana finisce – semplicemente – morta bollita.
Se la stessa rana fosse stata immersa direttamente nell’acqua a 50°, avrebbe dato un forte colpo di zampa e sarebbe balzata subito fuori dal pentolone.”
Una metafora di stringente attualità, scelta dalla band di Brooklyn come manifesto lirico per descivere i tempi assurdi e distopici in cui la stupidità e malvagità degli esseri umani sta facendo regredire il mondo, flagellandolo con l’impoverimento economico, morale e culturale della collettività, che conduce alla barbarie, al degrado etico, alle guerre e alle ingiustizie sociali, alle disuguaglianze di classe e alla morte fisiologica dello stesso pianeta Terra. La maggioranza del globo non riesce a ribellarsi e/o a non avere gli strumenti per opporsi alle nefandezze commesse dal capitalismo neoliberista perpetrato, nel corso dell’ultimo mezzo secolo, dall’1% più ricco del globo terracqueo che, col potere dei soldi generato dal monopolio delle élites borghesi imperialiste sugli affari e sui conflitti militari geopolitici, circuisce il restante 99% con i grandi media (controllati dall’1% più facoltoso e nocivo del mondo, quello delle multinazionali che causano la stragrande maggioranza dell’inquinamento ambientale globale) che trattano l’opinione pubblica mondiale come la suddetta rana, facendola crogiolare nell’acqua tiepida del pentolone del disimpegno edonistico e cullandola nell’illusione di vivere nel migliore dei mondi possibili, mentre un po’ alla volta alza la fiamma dell’escalation di guerre, violenze e ingiustizie inaccettabili, ma nel contempo la massa assuefatta dal consumismo non si accorge più di nulla, non ha più la forza per protestare e arriva ad accettare come “normale” qualsiasi deriva, stortura e brutalità del sistema capitalista, le ipotesi di conflitti nucleari e l’antropocene che, un po’ alla volta, la (e ci) fa estinguere placidamente seduti sul divano di casa davanti alla TV (o allo schermo di un computer/telefonino che visualizza una realtà distopica/complottara/paranoica come quella raffigurata nel videoclip del brano/sito web “Soul-net“) assistendo al collasso della civiltà umana completamente inermi e col sorriso sulle labbra.
“Frog in boiling water” arriva a cinque anni di distanza dal penultimo long playing “Deceiver” e rimette in pista i DIIV (concepiti agli inizi degli anni Dieci come progetto solista del frontman/chitarrista Zachary Cole Smith, già nei Beach Fossils) dopo le note vicissitudini – tra tossicodipendenze, arresti, cliniche di disintossicazione, scazzi all’interno del gruppo e altri fantasmi – in un percorso musicale che li ha visti plasmare un sound influenzato dal krautrock, dal post-punk, dallo shoegaze e dall’alternative/grunge. I nostri oggi (il succitato membro fondatore Smith coadiuvato da Andrew Bailey alla chitarra e al programming, Colin Caulfield al basso e synth/programming e Ben Newman alla batteria e synth/programming) pur tra varie problematiche, sono comunque riusciti a forgiare dieci brani che tengono egregiamente testa al repertorio delle loro opere precedenti. Smith e soci continuano a “guardarsi le scarpe” e ad avere Slowdive, My Bloody Valentine, Swervedriver, Slint e Spiritualized come punti di riferimento sonori, e di cui troviamo evidenti tracce disseminate lungo tutto il long playing, tra i mid-tempo dissonanti e grintosi – e, allo stesso tempo, eterei e disillusi- dell’opener “In Amber“, in “Brown paper bag” in “Raining on your pillow” o in “Reflected“, nella nervosa malinconia della title track e di “Everyone out“, nei saliscendi atmosferici di “Somber the drums” e “Little birds” fino al caldo abbraccio post-rock della conclusiva “Fender on the freeway“.
Siamo alle battute finali dell’imperialismo come fase suprema del capitalismo, la Terza guerra mondiale è ormai alle porte e il genere umano è minacciato da un olocausto nucleare, mentre in Italia il popolino pensa a scannarsi per i cromosomi delle pugilatrici e per le cerimonie di apertura “blasfeme” delle olimpiadi. Ma, al di fuori di queste armi di distrAzione di massa, i DIIV fanno sentire la loro voce e confermano di essere uno tra gli ensemble più interessanti dell’ultimo decennio.