Fabio Bertino è stato autore in tempi recenti di due libri strettamente legati al trasporto ferroviario in Italia, preceduti peraltro in passato da un’altra coppia di pubblicazioni riguardanti appunti di viaggio al di fuori dei nostri confini; tutto ciò non poteva non incuriosire uno come me che con i treni ha avuto a che fare nel corso di tutta la propria vita lavorativa, prima come Capo Treno e poi come addetto nel settore delle Risorse Umane. Binari – Racconti di Viaggi e di Treni sulle Ferrovie Minori Italiane, uscito nel 2021, e Italia ad Altra Velocità – In Viaggio dal Brennero alla Sicilia con i Treni Regionali, pubblicato qualche mese fa, sono due opere alquanto godibili nelle quali l’autore racconta le proprie esperienze di viaggio, nel primo caso sulle più affascinanti linee secondarie della penisola, nel secondo affrontando una lunga escursione tra le due punte più estreme d’Italia. Non essendo un ferroviere, l’attenzione di Fabio non è tanto incentrata sugli aspetti tecnici del viaggio (come potrebbero essere il materiale rotabile o le caratteristiche delle linee, anche se non mancano diversi riferimenti in tal senso) quanto sulla potenzialità del treno quale mezzo di trasporto ideale per godere degli scenari paesaggistici che il nostro paese offre in ogni dove, nonché della sua funzione di collegare tra loro città e borghi con il loro inestimabile carico di storia. Proprio per questo i due libri di Bertino non sono rivolti solo a chi è appassionato di treni in senso stretto bensì, anche e soprattutto, a chi desidera scoprire le molte bellezze del nostro paese in maniera “slow” come il titolo della sua ultima opera suggerisce. Quindi, da buon ex ferroviere, non ho perso l’occasione di porgergli alcune domande riguardanti queste due opere oltre ad altri quesiti riguardanti lo sviluppo e le potenzialità del trasporto su rotaia, oltre che dei faraonici quanto discutibili progetti attualmente in essere.
Ciao Fabio, e grazie per la tua disponibilità. Nel mio lungo percorso di dipendente FS mi sono imbattuto in diverse persone che dimostravano una passione, talvolta quasi patologica, per locomotori e materiale rotabile pur facendo di mestiere tutt’altro. Il tuo interesse mi pare invece più legato all’ideale del viaggio su rotaia e quindi ti chiedo come e da quanto tempo sia maturato.
Premesso che io non guido l’auto (lo so, quando lo dico sembra sempre un po’ strano…), in un certo senso viaggio in treno da sempre. Da bambino con i miei genitori e poi in autonomia. Quindi si può dire che per me sia un fatto del tutto naturale. Durante i miei viaggi ho poi avuto la fortuna di percorrere alcune delle “grandi” linee del mondo, dalla Transiberiana alla Transmongolica, dal Ghan in Australia alla Tazara in Africa, e la meraviglia di quei fantastici percorsi ferroviari ha sicuramente contribuito ad accrescere questa mia passione. Anche se poi, soprattutto negli ultimi anni, ho cominciato ad apprezzare sempre di più il piacere del viaggio “lento” sulle ferrovie locali, alla scoperta della provincia italiana e dei tanti, piccoli gioielli che questa custodisce. E poi…sono anche stato pendolare per quindici anni!
Entrambe le opere non escono sotto l’egida un editore: hai provato a proporle a qualcuno oppure sei partito già rassegnato all’idea di fare tutto da solo?
In realtà si è trattato di una scelta ragionata, non di un ripiego. E’ un discorso un po’ lungo, che riguarda il mondo editoriale nel suo complesso e la gran parte degli autori che non rientrano fra i best sellers. In precedenza infatti ho pubblicato altri due libri di viaggio (“Worldzapping. Racconti di viaggio” e “Destinazione Russia. Una nave e un gatto nella tundra e altri incontri stra-ordinari”) con una casa editrice toscana (piccola ma molto seria e assolutamente non a pagamento), con la quale mi sono trovato bene. Il fatto però è che comunque anche con le case editrici (pure con quelle più grandi se non si è scrittori più che famosi) la promozione resta in ogni caso quasi tutta sulle spalle dell’autore, il che ha inevitabilmente dei costi (viaggi e pernottamenti per le presentazioni nelle librerie in giro per l’Italia, promozioni sui canali social e così via), e la percentuale per l’autore sul prezzo di copertina è irrisoria (si parla in media dell’8%). Non pretendo di guadagnare dai miei libri, ma l’obiettivo è anche quello di non rimetterci, altrimenti tanto varrebbe affidarsi direttamente ad una casa editrice a pagamento. Con “Binari” ho così voluto provare la strada del self publishing (che è cosa ben diversa dagli EAP), perchè oltre a permettere di mantenere i diritti sulla propria opera riserva agli autori una percentuale del prezzo decisamente più alta, consentendo così di ripagare i costi a cui ti accennavo. In ogni caso pubblicare in self non significa improvvisare con il fai da te, perchè ad esempio i miei due libri hanno avuto correzione di bozze, editing, impaginazione… professionali.
I tuoi due libri appaiono piuttosto complementari, anche se in “Binari” si avverte maggiormente il piacere nel contemplare gli scorci paesaggistici offerti dalle linee minori, mentre in “Italia ad Altra Velocità” mi pare che il tuo interesse sia più focalizzato su un’idea di ferrovia quale mezzo per unire, tratta per tratta, i capi opposti di una nazione che, oggi, pare esse molto meno coesa di quanto non lo fosse quando vennero posate le prime rotaie e l’unità era qualcosa ben lungi da venire. Se sì, in che modo hai modificato l’approccio narrativo rispetto alla prima opera?
Direi che i due differenti approcci sono una naturale conseguenza del diverso “spirito” che è alla base dei libri. Con “Binari” mi sono dedicato ad alcune fra le ferrovie minori più belle e storiche del nostro paese, distribuite per la penisola un po’ a macchia di leopardo, percorrendo quindi tratte spesso anche piuttosto brevi, e per questo è stato forse più spontaneo concentrarmi sulla singola linea. Con “Italia ad altra velocità” l’idea era invece appunto quella di percorrere tutto il paese, da nord a sud, dalle Alpi alla pianura, dall’Adriatico al Tirreno fino allo Ionio, dalle città ai piccoli paesi. Per cui posso dire che mi riconosco pienamente in quello che dici sulle differenze fra i due libri.
Soffermandoci su “Binari”, in quel libro racconti le tue esperienze di viaggio su queste linee secondarie che, in quanto tali, per motivi prettamente commerciali sono costantemente a rischio di chiusura o di forte ridimensionamento del traffico; eppure, in altre nazioni tratte simili, invece d’essere dismesse e abbandonate a sé stesse o nella migliore delle ipotesi trasformate in piste ciclabili, vengono sfruttate e valorizzate al massimo proprio dal punto di vista turistico. Tanto per fare un esempio a noi vicino, la Ventimiglia – Cuneo è un’autentica meraviglia sia dal punto di vista ingegneristico che da quello paesaggistico, eppure ha avuto una storia tormentata che pare possa arrestarsi ad ogni refolo di vento contrario…
Purtroppo è proprio così. L’Italia ha avuto un immenso patrimonio ferroviario, e per fortuna in buona parte lo ha ancora (siamo il quarto stato per densità ferroviaria per chilometro quadrato, prima di giganti come India, USA, Russia e così via), ma non c’è dubbio che sia continuamente messo in grande difficoltà da dismissioni, sostituzioni con autobus, limitazioni di percorso, drastica riduzione del numero delle corse e così via. Le ragioni sono diverse, le principali credo le conosciamo tutti, e cioè il fatto che la politica pubblica dei trasporti è da decenni drasticamente sbilanciata verso il movimento su gomma, e che le risorse riservate al trasporto ferroviario sono per la grandissima parte destinate unicamente all’alta velocità. La Ventimiglia-Cuneo a cui accenni ne è proprio un esempio, ed è purtroppo rappresentativa di diverse altre realtà.
Leggere i tuoi racconti di viaggio trasmette la voglia di visitare i luoghi che descrivi con dovizia di particolari, tanto più in quanto dimostri come in Italia ci siano centinaia di località meritevoli di essere scoperte ben prima di rivolgere lo sguardo oltre confine. Toglimi una curiosità: qualche ente di promozione turistica o Pro Loco che sia ti ha mai contattato per ringraziarti del servizio involontariamente reso?
Intanto grazie, perché è esattamente quello che vorrei che i lettori provassero leggendo i due libri! Sì mi è capitato. Per esempio per “Binari” la Confesercenti di Ventimiglia mi ha contattato ed ha organizzato una presentazione alla biblioteca Aprosiana con il patrocinio del Comune, mentre la sindaca di Brescello ha fatto lo stesso nel suo bel paese come ringraziamento per aver raccontato il viaggio sulla Parma-Suzzara.
Venendo a “Italia ad Altra Velocità”, trovo che il tuo viaggio prenda quota man mano che ti avvicini al sud, questo certamente non per tuo demerito ma proprio perché le località in cui approdi di volta in volta non sono interessanti solo dal punto di vista storico o artistico come quelle del centro nord, ma paiono essere baciate da una luce diversa, forse, e scusa se sconfino nel tuo campo di competenza, per l’aver conservato una forte identità antropologica (emblematici i casi di Guardia Piemontese e Campomarino) e una genuina capacità delle popolazioni di relazionarsi con il prossimo. Hai avuto anche tu questa stessa sensazione di un percorso in crescendo anche dal punto di vista emozionale?
Assolutamente sì. Forse è dipeso anche dal fatto che man mano che il viaggio proseguiva mi sentivo sempre più in immerso in quella che per me è stata una magnifica avventura. Non c’è dubbio però che, senza nulla ovviamente togliere a tutti gli altri territori che mi hanno regalato bellissime sorprese, via via che scendevo verso sud le emozioni e le sensazioni si facevano più forti. Una densità di umanità, di vita, di storia, di tradizioni che ha pochi eguali nel mondo. I casi di Guardia Piemontese e di Campomarino che tu citi, anche per la loro storia direi quasi unica, sono emblematici. E queste sensazioni hanno raggiunto il culmine proprio nell’ultima parte dell’itinerario, lungo la costa orientale della Sicilia, dove tutto ciò che si incontra è pura meraviglia, dal mondo di lava di Catania e delle Aci a quello di luce del barocco siciliano delle province di Siracusa e di Ragusa.
Nel tuo viaggio ci sono due momenti molto particolari e altrettanto significativi sui quali vorrei soffermarmi: il primo è “l’incursione” in territorio straniero accedendo oltre quello spesso portone di ferro che nasconde alla vista dei comuni mortali la stazione del Vaticano…
In quell’occasione ho fatto un’eccezione al proposito che mi ero dato, e cioè quello di utilizzare unicamente treni in servizio ordinario, perché la ferrovia Vaticana è accessibile solo, sporadicamente, con treni turistici. Ma mi sono trovato a Roma proprio quando c’era l’occasione, e non ho saputo resistere alla tentazione di percorrere la ferrovia internazionale più breve del mondo. Il fatto che il portone di ferro, che segna il confine con il territorio italiano e che si apre solo proprio quando devono passare quei pochi treni, nasconda la stazione “misteriosa” ai comuni mortali è assolutamente vero. La sensazione durante il tempo trascorso all’interno della Città del Vaticano è stata infatti soprattutto quella dell’incredibile contrasto fra il mondo ovattato, quasi irreale del Vaticano e il caos della capitale pochi metri più in là, appena oltre le mura Leonine.
Il secondo invece è l’attraversamento in treno dello Stretto di Messina. Non credi che la lettura delle vicissitudini alle quali sei andato incontro, e che non penso siano così sporadiche, potrebbe spingere qualcuno a pensare che l’idea di costruire il ponte non sia così peregrina, al netto del demenziale progetto attualmente proposto (sto facendo l’avvocato del diavolo, sia chiaro…)?
Anche in questo caso ho fatto un’eccezione all’idea di viaggiare solo con treni regionali, ma di nuovo la voglia di attraversare lo Stretto con il treno era troppo forte, e lo si può fare solo con gli Intercity. Certamente ci sono stati un po’ di problemi, che racconto con sincerità nel libro, ma ne è davvero valsa la pena. Personalmente non credo che l’idea del famoso ponte sia la soluzione. Senza sperperare una quantità spaventosa di denaro pubblico e senza avventurarsi in una ennesima grande opera sulla quale, anche dal punto di vista progettuale e strutturale, esistono moltissimi dubbi e rischi, con un impegno finanziario drasticamente più contenuto si potrebbero invece potenziare in maniera sostanziale il servizio traghetti e migliorare la rete ferroviaria e stradale sull’isola.
A proposito di opere inutili se non dannose, il titolo del tuo libro con l’aggiunta di una semplice consonante si contrappone a quell’idea di Italia ad alta velocità che viene propugnata come una necessità impellente per fare progredire il paese ma che, in realtà, così non sembra essere nei fatti per la maggior parte delle tratte coinvolte e di buona parte della stessa clientela. Mi rivesto della poco simpatica veste dell’avvocato del diavolo e ti chiedo: se un atteggiamento critico nei confronti della AV può essere del tutto condivisibile per quanto concerne il traffico dei passeggeri, non sarebbe un’opportunità invece se il trasporto ferroviario delle merci diventasse realmente concorrenziale rispetto a quello su gomma, proprio accorciando i tempi di percorrenza con la costruzione di nuove linee e valichi?
In effetti è un argomento che viene portato da più parti. Spesso però parlando genericamente di “sviluppo”, “progresso” etc. senza mai entrare nello specifico delle reali implicazioni di opere così impattanti (spesso in malafede, basti pensare che c’è chi parla ancora della necessità di connettersi al famoso corridoio Lisbona-Kiev, progetto che da anni non esiste più nemmeno sulla carta). Anche in questo caso sono convinto che (appunto come per la gran parte delle grandi opere) la finalità reale non sia quella di realizzare qualcosa di realmente utile ed efficiente quanto piuttosto quella di distribuire risorse pubbliche. Inoltre i costi sono spaventosi rispetto agli ipotetici vantaggi. Pensa ad esempio al TAV Terzo Valico. Un investimento preventivato di 6 miliardi e 200 milioni (tutti italiani, non c’è un centesimo di finanziamento europeo) per 53 chilometri di linea, che ad oggi è già salito a 7 miliardi e 800 milioni e che chissà quanto sarà alla fine. Cifre spropositate per la lunghezza della tratta e che inevitabilmente, come già successo anche proprio per questo progetto, portano corruzione e infiltrazioni mafiose. Ancora, tempi infiniti di realizzazione che si dilatano a dismisura. Sempre per il Terzo Valico i lavori iniziati nel 2012 avrebbero dovuto concludersi nel 2020, poi nel 2024, quindi a fine 2025, ma è già certo che la scadenza non sarà rispettata. Come se non bastasse poi, la realizzazione di queste strutture è devastante per il territorio e per i centri che vengono attraversati (per esempio con il prosciugamento delle falde acquifere come accaduto in Toscana e come sta succedendo in Val Susa) e spesso comporta gravissimi rischi per la salute di chi ci abita e delle stesse persone che lavorano alla loro realizzazione. Rimanendo ancora una volta al TAV Genova-Tortona, è ben risaputa la massiccia presenza di amianto all’interno dell’Appennino, con tutto ciò che questo comporta considerato che ben 37 chilometri sarebbero in galleria. Fra l’altro in una provincia come quella di Alessandria dove l’amianto dell’Eternit di Casale Monferrato ha causato e causa tuttora una strage infinita. Quest’ultimo aspetto, il più tragico, viene spesso negato o minimizzato, ma in una intercettazione telefonica del 2015 l’allora Direttore Generale dei lavori, ad un dirigente che esprimeva preoccupazione al riguardo, rispose letteralmente “tanto i morti arrivano fra trent’anni”, ammettendo implicitamente con mostruoso cinismo che il rischio esiste ed è molto concreto e che c’è chi pur negandolo ne è assolutamente a conoscenza. Per finire è quanto mai dubbia la reale utilità dell’opera. Basti pensare che al momento dell’ideazione del progetto, negli anni ’90, per motivarne l’importanza si ipotizzava una crescita drastica del numero di containers che da Genova sarebbero stati destinati al Nord Europa, mentre ad oggi il loro numero è ben del 40% inferiore alle previsioni. Mi sembra insomma che ce ne sia abbastanza per essere quantomeno perplessi. E lo stesso discorso si può fare anche per la Torino-Lione, come è ampiamente argomentato, fra le altre cose, nel documentatissimo libro “Un viaggio che non promettiamo breve” di Wu Ming 1.
La privatizzazione del trasporto ferroviario da molti invocata quale possibile panacea di tutti i mali si è rivelata come sempre accade (sanità docet) un fallimento a discapito delle esigenze dell’utenza. La frammentazione in miriadi di piccole società (spesso delle vere proprie “bad companies”), oltre a indebolire il potere contrattuale dei ferrovieri appare soprattutto propedeutico all’esternalizzazione di tutte le attività non produttive, e se RFI appare l’inscalfibile zoccolo duro essendo al 100% a partecipazione statale, la stessa Trenitalia ha sostanzialmente quale core business l’alta velocità (per la quale da anni si vocifera di un distacco dalla società madre) mentre tutto il resto viene considerato alla stregua di un “male necessario”. Quale è il tuo pensiero al riguardo, da viaggiatore che ha potuto toccare con mano pregi e difetti dell’attuale del trasporto ferroviario lungo l’intera rete nazionale?
In un certo senso ti ho già risposto prima. Diciamo che l’aver percorso in un tempo relativamente breve oltre 4.000 chilometri di ferrovie per lo più regionali mi ha dato ancor più la consapevolezza di come con una piccola parte dei miliardi di euro di cui ti parlavo si potrebbe portare la rete nazionale al livello di efficienza che le spetterebbe.
Un punto in cui c’è stato negli ultimi anni un sensibile progresso riguarda sicuramente il materiale rotabile, benché poi su molte tratte i tempi di percorrenza restino sostanzialmente gli stessi di quando io ero un giovane Capo Treno. I nuovi treni regionali sono moderni e veloci, ma il fascino delle vecchie vetture a scompartimenti da 6 posti è andato perduto assieme all’annessa facilità nel socializzare…
Anche su questo sono d’accordo con te. Nel senso che anch’io sento il fascino di cui parli. Proprio perchè uno degli aspetti più belli del viaggiare in treno è che le persone sono quasi spontaneamente portate a socializzare, a parlare del più e del meno anche solo per pochi minuti di viaggio, a volte perfino a raccontare qualcosa della propria vita a sconosciuti. Figurati che nei miei 15 anni di pendolarismo ho anche visto nascere due amori, uno dei quali si è poi concluso con un matrimonio! Tutto questo ovviamente non accade muovendosi in auto, ma succede meno anche sui bus, dove ognuno è un po’ “chiuso” nel proprio sedile.
Nel tuo ultimo viaggio hai necessariamente intrapreso un percorso che ha escluso diverse parti d’Italia, incluso il nostro nordovest. Questo mi induce a pensare che prossimamente potresti colmare questa lacuna…
Lo confesso, pensi bene! In effetti, per non rendere il viaggio eccessivamente lungo, non ho toccato la Sardegna (e questo mi è spiaciuto particolarmente, ma ho comunque raccontato la Macomer-Nuoro in “Binari”), il Friuli e, appunto, Piemonte (anche questo ben presente invece in “Binari”) e Liguria. Comunque ho in mente di rimediare al più presto…
A questo punto ti lascio la possibilità di concludere l’intervista spiegando perché valga la pena di leggere Italia ad Altra Velocità e Binari.. e quali siano le modalità per acquistare i due libri.
Entrambi i libri si possono ordinare in tutte le librerie fisiche, oppure si possono acquistare (sia in cartaceo che ebook) su tutti i principali store online.