Ripartiamo immediatamente, nonostante la pioggia, il freddo che ancora non arriva e i funghi che non smettono di crescere. Questa volta vi invitiamo a fare la conoscenza di Brunsten, Clactonian, Iress, Nava Calma e Still Wave.
Brunsten “Ethyl” (Forbidden Place Records)
Il trio danese ha debuttato su disco nel 2018 con l’album “1500” grazie alla statunitense Forbidden Place Records. I buoni riscontri hanno spinto le parti a proseguire nella loro liaison, che arriva oggi, 2024 a sancire la nascita (e la pubblicazione) del secondo album “Ethyl”. L’album mostra un passo avanti nella giusta direzione per la band, che oggi può dirsi in grado di offrire uno spunto noise rock decisamente energico, grazie a un approccio che riporta direttamente all’intransigenza post hardcore degli anni novanta.
In più, rispetto all’esordio, i Brunsten non nascondo di aver fatto i compiti a dovere, sposando una sperimentazione sonora che li porta ad una forma canzone più strutturata e meglio pensata. Segno inequivocabile, quest ultimo, di una crescita da un punto di vista della maturazione.
Il disco è costruito intorno a diciannove minuti che lasciano senza respiro, e che mostrano come si possa dare del tu al rumore senza cadere nella cacofonia. Se riusciranno a mantenere intatta la loro idea di musica con il prossimo album avremo di che divertirci.
Clactonian “Dea Madre” (autoprodotto)
Da una costola dei Thecodontion prende vita il progetto Clactonian. Il legame tra le due realtà non si ferma però alla formazione, che è in parte la medesima, ma si allarga al fatto che entrambe le band si rifanno, concettualmente a tematiche radicate nella preistoria, e in particolare nel Paleolitico.
Evidenza che appare chiarissima sin dalla scelta della cover che rappresenta una (personale) rivisitazione della Venere di Willendorf, statuetta rinvenuta agli inizi del novecento, e che si pensa sia stata realizzata, appunto, circa 29.500 anni fa.
Il sound dei Clactonian è ciò che li distingue nel vastissimo panorama estremo. La band ha deciso infatti di puntare su atmosfere asfittiche, opprimenti e quanto più grezza possibile. Con la conseguenza che “Dea Madre” riesce ad essere un esempio di come, oggi, 2024, un approccio sporchissimo, selvaggio, e a tratti frenetico, ai limiti del chaos, riesca a garantire una resa sonora incisiva e azzeccata.
Qualunque abbellimento avrebbe significato snaturare il progetto uniformandolo a tante, troppe realtà sovrapponibili, per non dire statiche. Largo dunque ala riscoperta dell’essenza intesa come solidità.
Iress “Sleep Now, In Reverse” (Church Road Records)
Gli Iress provengono dalla California. Si sono formati nell’instancabile, e poliedrica scena di LA nel 2010, plasmandosi intorno alla figura della cantante Michelle Malley, affascinante interprete del crepuscolare viaggio che la band ha deciso di intraprendere, e che li porta, oggi, a pubblicare questo altrettanto affascinante “Sleep Now, In Reverse”.
L’album, uscito in estate per la britannica Church Road Records, mostra un taglio spiccatamente cinematografico che, con grande intensità, guarda nel profondo in cerca di quella lieta tristezza che non può non ammaliare, andando a soddisfare la nostra sempre più difficilmente colmabile voglia di malinconia.
Il quartetto statunitense rappresenta una delle realtà contemporanee tra le più sottovalutate. La magia del loro tocco dovrebbe averli portati ai vertici di quel coacervo di band che si muovono tra il post metal meno aggressivo e lo shoegaze più sognante. E invece, come puntualmente accade per tutti coloro che non hanno santi in paradiso, non è così.
Gli Iress, al netto degli addetti ai lavori che ricevono puntualmente gli aggiornamenti sulle loro uscite, continuano ad essere un nome che resta relegato ai margini. Basta ascoltare questo “Sleep Now, In Reverse” per rendersi conto della magia che caratterizza le dieci tracce, e che sublima una tristissima depressione, portandoci a toccare l’estasi.
Nava Calma “The Full Weight Of Everything” (Stellar Frequencies Records)
Sono passati solo due anni dal debutto per i berlinesi Nova Calma, ma è già tempo per tornare a farci ascoltare il loro nuovo materiale. “The Full Weight Of Everything” riparte esattamente da dove si era interrotto il precedente “The Phosphorus Account: Pt: 1”.
Il loro approccio emotivamente caldissimo non è assolutamente mutato, anzi, al contrario, la band è riuscita a ottimizzare la sua proposta sonora, ampliandola con una gamma maggiore di suoni e una profondità che permette alla band di districarsi in modo egregio con tonalità più cangianti rispetto al passato.
Rabbia e dolore si contrappongono ai momenti più delicati, più toccanti in un’alternanza di istanti che si specchiano, rimbalzano e tornano al loro posto in un caleidoscopio di colori declinati al nero. Come gli Iress, di cui abbiamo appena parlato, anche i Nava Calma ancora non sono riusciti a raggiungere quelle soddisfazioni, e quella notorietà che meriterebbero.
La genialità della band alla lunga riuscirà a collocarla laddove merita di stare, nel novero di quelli che danno del tu alla solitudine, e fanno della catarsi il succo a cui abbeverarsi quotidianamente.
Still Wave “A Broken Heart Makes an Inner Constellation” (These Hands Melt Records)
La storia racconta che, nella gestazione degli Still Wave, Valerio Granieri dei Rome in Monochrome sia stato solo l’ultimo tassello, quello che ha permesso di completare la line up della neonata band romana, ideata e messa in piedi dal duo composto Luca Fois ed Eliana Marino.
Una volta colmato il gap la band ha immediatamente iniziato a lavorare al disco. La lunghissima gestazione dell’album ha permesso agli Still Wave, proprio in virtù dell’assenza di fretta, di puntare alla solidità e alla concretezza dei brani, che, grazie ad una revisione ripetuta e quasi continua, ha permesso di sfoltire tutti quegli orpelli che inizialmente li avevano appesantiti.
A Broken Heart Makes an Inner Constellation” guarda dunque all’immediatezza della comunicazione, senza però perdere, anzi cercando di esaltare, la forma canzone nella sua accezione più standard. Concettualmente pensato intorno all’idea di come si possa riuscire a sentirsi soli in mezzo a una moltitudine di persone, l’album sublima il dolore attraverso una scelta sonora che cerca di arrivare a toccare quelle melodie più nascoste dentro di noi. Masterizzato da Øystein G. Brun dei Borknagar, “A Broken Heart Makes an Inner Constellation” si muove a cavallo di una pluralità di generi senza però prendere mai una direzione precisa o preponderante.
Segno che la band riesce ad essere a proprio agio in qualunque contesto sonoro si cerchi – gioco forza – di collocarla. Anche se, onestamente occorre dire che la base intorno a cui tutto gira è quella più affine al metal di band come Paradise Lose, My Dying Bride e ai Katatonia più recenti.