Ma quanta stracazzo di roba figa è uscita in questo 2024? Un anno incredibilmente prolifico a livello di pubblicazioni musicali nella scena rock ‘n’ roll mondiale, e un’altra perla che arriva quasi in chiusura è senz’altro rappresentata da questo ritorno, dall’Australia (una terra che, a livello di R’N’R spigoloso e ruspante, non smette di regalarci soddisfazioni da oltre mezzo secolo a questa parte) degli ex Beasts of Bourbon, dal 2018 rinominatisi solo Beasts (come una forma di rispetto nei confronti degli ex membri Brian Hooper e Spencer P. Jones, con Tex Perkins, Tony Pola – poi anch’egli scomparso nel 2021 – e Charlie Owen a riformare il gruppo coi membri fondatori Kim Salmon e Boris Sudjovic (già colonne anche di un’altra formazione ormai storica della scena rock ‘n’ roll aussie, gli Scientists) che, come Beasts, avevano dato alla luce un Lp, nel 2019, “Still here“, registrato con Jones già malato, e portato in tour prima della dipartita anche di Pola.
Dopo cinque anni, in questo weekend, i nostri – che nel tour in Australia di quest’anno hanno distribuito copie di un Ep dal vivo intitolato “Be suburban“, registrato nel 2023 – hanno dato alle stampe un seguito a quel nuovo inizio, sfornando il loro secondo album col “nuovo moniker”, realizzato sulla label australiana Slick productions, e che si intitola “Ultimo“. E, a quanto sembra, il titolo dell’opera non è stato scelto a caso, perché, stando a quanto comunicato da Tex Perkins ai compagni di band, sarebbe davvero “The last”, l’atto conclusivo di tutta la storia e il percorso del gruppo (col nome completo o senza). Venuti a mancare tre membri importanti, e col batterista James Baker malato terminale, il combo ha deciso di far calare il sipario sull’avventura.
Ma questo fragore finale è un canto del cigno più caldo che mai, perché tra i solchi di “Ultimo” sono racchiusi nove brani di infuocato e darkeggiante garage-swamp blues registrati a Melbourne, in due giorni, a metà del 2024 con una line up formata da Boris Sujdovic al basso, Baker alla batteria, Charlie Owen alla chitarra, Perkins e Salmon alla voce e chitarra. Un lavoro coeso e compatto, in cui le chitarre bruciano l’aria, con un laido wall of fuzz a cospargere l’opener “Shoot me“, mentre l’amara ballata acustica “Change” e la più dinamica ed elettrica “A special place” riflettono sul tema della morte (e non potrebbe essere altrimenti, viste le vicissitudini capitate ai nostri negli ultimi tempi) tra fatalismo, rassegnazione e la volontà di immaginare, con sottile soddisfazione, che un giorno tutti i musicisti e gli amici perduti sul pianeta Terra si ritroveranno, tutti insieme, a suonare in un night club chiamato Inferno. L’atmosfera torna a ruggire in “Everything is a lie“, e lo slide fuzzato in “Some other fucking blues” aleggia come una presenza oscura alle spalle dell’ascoltatore. “Succubus” si riallaccia al mood dark/blues malato dei primi Beasts Of Bourbon, “Hanging with the hound” è incandescente lava garage fuzz, la Salmoniana “Fix it” si regge su riff muscolari e linee di basso pulsanti, e la ciurma affida a “The ballad of the battle of rock ‘n’ roll“, con le sue fragranze Seventies glam rock, il compito di salutare tutti i fan e il pubblico per un’ultima volta (ad oggi, non si sa se il disco verrà portato in tour). Ai brani del long playing sono state aggiunte undici incendiarie tracce catturate live in due date (a Sydney e Melbourne) della precedente tournée, nel vinile extra “The beasts alive“, dove riproposizioni del repertorio dei Beasts of Bourbon si affiancano a cover degli Stooges (“I need somebody“) e Sonics (“Strychnine“).
I’m just one of the boys, I’m in love with the noise. Grazie ragazzi, grazie di tutto.