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Recensione : :: ACUFENI :: FASTIDI AURICOLARI CONTEMPORANEI #16

Questa volta caratterizzato da nomi di grandissimo spessore come Ottone Pesante e The Body. Nomi che non necessitano di alcuna introduzione, e che fanno da trascinatori per un episodio che comprende anche le piacevoli novità dei francesi Hanry e le conferme di Avatarium e Dunes.

Avatarium, Dunes, Hanry, Ottone Pesante, The Body

Sedicesimo episodio della nostra rubrica. Questa volta caratterizzato da nomi di grandissimo spessore come Ottone Pesante e The Body. Nomi che non necessitano di alcuna introduzione, e che fanno da trascinatori per un episodio che comprende anche le piacevoli novità dei francesi Hanry e le conferme di Avatarium e Dunes.

Avatarium – Between You, God, the Devil and the Dead

Sesto album per gli Avatarium, quartetto di Stoccolma originariamente sorto come progetto collaterale del bassista dei Candlemass, Leif Edling. Nel corso degli anni Avatarium è diventata una band a tutti gli effetti. Non a caso, come detto, arriva oggi, ad inizio duemilaventicinque, a sfornare l’ennesimo album. “Between You, God, the Devil and the Dead” è il perfetto esempio dell’eterno “Less is more”, un mantra mai troppo seguito, soprattutto in ambito musicale, dove spesso regnano gli eccessi.

Con un richiamo concettuale, e in termini di scrittura, che guarda in modo diretto agli anni settanta, il disco si spoglia di tutte quelle influenze metal che in passato hanno caratterizzato il sound della band svedese. Riesce ad essere vintage pur suonando molto moderno, grazie ad un approccio diretto e granitico che esalta proprio la semplicità nella costruzione dei brani.

Malinconico proprio perché per certi versi blueseggiante, l’album lascia intravedere come il processo di distacco dal metal sia già a buon punto. Cosa che ci fa ben sperare per il futuro, anche perché, a ben guardare, gli Avatarium di metal oggi hanno veramente ben poco, se escludiamo il cv dei membri. Una band che vive un ottimo momento di forma e che pare all’interno di un processo di crescita che pare inarrestabile.

 

Dunes – Land of the Blind

“Land of the Blind” è un album che invita a distaccarsi dalla realtà terrena, dalla materialità del corpo. Un invito a cercare di privilegiare la nostra componente interiore più vicina alla spiritualità. Il sound perfetto per il viaggio introspettivo che dobbiamo affrontare per giungere nella “terra dei ciechi” immaginata dalla band inglese.

L’album esce su Ripple Music, realtà che cerca di mantenere una propria identità sonora grazie a release che seguono pedissequamente un’immaginaria linea di condotta che possa risultare riconoscibile in tempo quasi reale. “Land of the Blind”, che esce a distanza di tre anni dal precedente “Gargoyles”, risulta fruibile e gradevole in virtù di una fluidità sonora che avvolge e prosegue, senza pause. L’album guarda al sound britannico di stampo classico, cercando però di non risultare troppo “British”, e ci riesce appieno.

Con una decisa impronta che sposa un sound acido (e per certi versi quasi lisergico) il disco aggredisce l’ascoltatore e lo fa prigioniero grazie ad un approccio accattivante che conquista senza difficoltà la nostra attenzione.

Hanry – Disruption

Hanry è un nome che alle nostre latitudini suona ancora piuttosto sconosciuto. Il sestetto francese pubblica oggi il suo secondo EP, a distanza di tre anni dal precedente “Panorama”.

Quattro tracce proprio come allora. Quattro tracce con cui la band amplia il proprio arsenale, riprendendo e ampliando il discorso di partenza, ma al tempo stesso aprendo a nuove soluzioni che mostrano una crescita sostanziale che fa ben sperare per il futuro. Il disco che esce per la berlinese Pelagic Records, ha un proprio carattere, deciso, solido e riconoscibile, grazie anche ad un grande impatto emozionale che guarda al pathos come suo ingrediente principale, con estrema delicatezza.

Ricchissimo di sfumature che accrescono l’intensità emotiva del disco “Disruption” può vantare il privilegio di riuscire ad essere dotato sia di forza che di grandissima bellezza. Dopo due EP di buona fattura crediamo che sia giunto il momento per provare a misurarsi con un album sulla lunga distanza, che possa finalmente farli risplendere in un panorama in cui si sono appena affacciati.

Ottone Pesante – Scrolls of War

Gli Ottone Pesante li conosciamo tutti, e tutti sappiamo perfettamente riconoscere la qualità della loro proposta. Inutile quindi perdere tempo e spazio per celebrarne le gesta che li hanno portati ad essere una delle realtà più influenti dell’intero continente. “Scrolls of War” è il loro ultimo album, uscito sul finire dello scorso anno.

Quello degli Ottone Pesante è un percorso che ancora una volta li colloca in quel ristretto novero di band che fanno dell’assenza di strumenti “classici”, intesi come abitualmente presenti, il proprio punto di forza. I tre riescono ancora una volta a mostrare una vena metal, ma senza perdersi nei cliché del metal, che li caratterizza. Da quest ultimo prendono la costruzione dei brani nel senso della iconoclastica monumentalità. Ma qui si fermano. “Scrolls of War” ribadisce ancora una volta il sound davvero unico della band italiana, che anche questa volta li colloca, grazie ad un approccio sperimentale degno di tale nome, in un contesto di costante controtendenza, rispetto non solo a quello che li circonda, ma anche a quello che ci si aspetta da loro.

Meno jazzistico rispetto al passato, “Scrolls of War”, ha tra le altre cose l’onore di ospitare tra le sue fila nientedimeno che Shane Embury dei Napalm Death ai synth, segno che anche all’estero il nome della band riscuote i meritati consensi. Un album sperimentale che mostra le illimitate possibilità sonore di un trio di musicisti che sono davvero senza confine alcuno mentalmente parlando. A loro agio cioè in ogni direzione sonora. Si parla, spesso a sproposito, di libertà. Ascoltate gli Ottone Pesante e poi ridefinite i contorni di quello che credevate fosse la libertà. Un album quasi ipnotico che sonorizza il chaos portandolo alla luce, estirpandolo dalle tenebre in cui era finora confinato. Turbolenze sonore.

Quarto album. Quarto episodio di un percorso che pare inarrestabile. Strano quanto volete, indecifrabile, e va bene, ma sensazionale.

Recensione : Ottone Pesante

The Body – The Crying out of things

Settimo album per il duo statunitense, tra i nomi di punta di un movimento sonoro che guarda alla devianza sonora. Il loro è un inferno in cui edificano da anni un muro sonoro che non conosce crepe, dietro a cui hanno rinchiuso tutto il male del mondo moderno. Con questa premessa è facile intendere che per noi The Body è uno di quei nomi che facciamo coincidere con l’eccellenza in ambito noise rock. A loro favore gioca anche il fatto che sono in grado di realizzare, e pubblicare, almeno un disco all’anno, collaborazioni comprese, sempre e costantemente di ottima qualità. Non ci è dato sapere quale possa essere il segreto della loro prolificità. E forse nemmeno ci interessa saperlo, ciò che conta davvero è che continuino a far dischi con questa costanza in ambito qualitativo. The Body anche in questo caso ci presenta un album oppressivo che lascia davvero senza respiro. Un album che, nel momento in cui ti lascia senza fiato, gode del dolore che ti sta infliggendo. “The Crying out of Things” ti lascia addosso un senso di inquietudine, come di tragedia incombente, pronta a manifestarsi. Un disco che trasuda sadismo e dolore. Siamo davanti a un precipizio, in un precario equilibrio, terrorizzati dall’idea di cadere di sotto. The Body è esattamente alle nostre spalle, pronto per darci il colpo di grazia e spingerci nel vuoto, guadagnandosi ancora una volta il primato per il massimo dolore inferto.

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