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Recensione : :: ACUFENI :: FASTIDI AURICOLARI CONTEMPORANEI #18

Scopri il dolore che serve con Ethel Cain, Oldest Sea e A Prayer for the Worst. Ascolta le emozioni intense di Darja Kazimira & Zura Makharadze!

A Prayer fot the Worst, Darja Kazimira & Zura Makharadze, Ethel Cain, Oldest Sea, Tristan da Cunha

Parafrasando gli Hate&Merda che nell’apertura de “La Capitale del Male” dicevano – il male è anche giusto sotto certi punti di vista, perché altrimenti non puoi fare nulla. Il male serve. Serve anche il male.. facciamo nostro il loro pensiero, e sottolineiamo, guardando ai dischi che abbiamo scelto, come “il dolore serve, serve anche il dolore”, perché di dolore in queste cinque sollecitazioni acustiche che vi proponiamo ce n’è quanto ne volete, a partire da Ethel Cain, e dal suo incredibile album, passando per Oldest Sea, A Prayer for the Worst, dal duo georgiano Darja Kazimira & Zura Makharadze, e finendo con un progetto che in quanto a qualità non è secondo a nessuno come i nostri Tristan da Cunha. Buon ascolto e buon dolore.

A Prayer fot the Worst – Life is a lonely path (Lonely Demon Records)

Abbiamo fatto la conoscenza con Benjamin Labarrère negli anni novanta, quando in un mondo completamente analogico, venimmo, non ricordo nemmeno bene come, in contatto con Godkiller, la sua prima incarnazione, il suo primo progetto solista, per il quale aveva scelto il nome d’arte di Duke Satanaël.

Lo ritroviamo oggi, 2025, con A Prayer fot the Worst, la sua ultima creatura, con lo pseudonimo di Herr B. La sua progressione come musicista lo ha portato ad un livello in cui può permettersi di fare quello che gli pare, sbizzarrirsi come meglio pensa e crede. L’album si muove sulla falsariga di “Lullabies for Babies”, il debutto del 2020, e mostra, sin da subito, una tendenza minimalista che sposa elettronica e sperimentazione sonora. Il metal quasi medievaleggiante di un tempo è soltanto un ricordo. Di allora è rimasta soltanto la (sua) fascinazione per l’elettronica.

Malinconico, ma tutt’altro che triste, “A Prayer for the Worst” che possiamo inquadrare come la naturale evoluzione del disco precedente, è un disco decisamente evocativo che racconta la miseria degli esseri umani e, la pochezza della loro esistenza attraverso una scelta stilistica che l’isolazionismo.

Darja Kazimira & Zura Makharadze – Minotaur / Ananke (Cyclic Law Records)

Un album di improvvisazione vocale. Detta così potrebbe sembrare un mattone, una noia indicibile. Poi, pensi, che qui da noi lo fece a suo tempo il mai troppo compianto Demetrio Stratos, e che, anche alcune cose di Diamanda Galas sono sulla stessa falsariga e pensi che, forse, allora, il tempo per ascoltarlo te lo devi prendere. Se aggiungiamo il fatto che la Cyclic Law sbaglia dischi molto di rado, ci sono tutti gli ingredienti per spegnere i contatti con il mondo esterno e lasciarsi trasportare all’interno del labirinto creato da Darja Kazimira e Zura Makharadze in cui si celebra il mito del Minotauro, cercando di entrare quanto più a fondo possibile nel significato del personaggio. Il duo ci porta davvero in un mondo oscuro, in cui risuonano arcane litanie, in un rituale necessario che il destino ci pone sul nostro cammino.

Darja e Zura, con la collaborazione di Keren Batok, musicista sperimentale, anche lei georgiana, ma anche poetessa e attivista per i diritti umani, si sono sbizzarrite durante le registrazioni. Hanno preso qualunque cosa avessero a portata di mano e l’hanno resa suono, indipendentemente dall’uso originario dell’oggetto in questione.

Basta dare una scorsa veloce ai credits sulla pagina Bandcamp dell’album per rendersene conto. C’è davvero di tutto. E il bello è che è stato tutto funzionale, adattandosi alla perfezione alla destinazione finale. Un disco di valore indiscusso, ma per un pubblico selezionato, che sappia lasciare da parte ogni sorta di pregiudizio, e voglia solo lasciarsi trascinare, fino alla resa finale.

Ethel Cain – Perverts (Daughters of Cain)

Ethel Cain, all’anagrafe Hayden Anhedönia, ha fatto parlare di sé fin troppo.
Per cui lasciamo dove stanno tutte le vicende personali, le polemiche per le sue prese di posizione e tutto quello contro cui, negli anni, ha dovuto combattere per affermarsi come donna. L’avevamo lasciata con il suo album di debutto nel ’23, quel “Preacher’s Daughter” che l’ha lanciata. Ecco, dimentichiamocelo. Quella Ethel Cain non esiste più. “Perverts” cambia le carte in tavola, con 90 minuti di delirio. Un concept sulle perversioni, intese come devianze, che annichilisce. Un album che trasuda agonia, con una partenza ad handicap, disturbante, che non capisci dove voglia portarti.

Ma è proprio questo non capire nulla, che, insieme alla voglia di spegnere tutto, che ti deve portare ad andare avanti, perché l’album è un fiume in piena di emozioni, basta solo avere il coraggio e la forza di andare avanti. Perché, l’album a un certo punto, svolta, e diventa meravigliosamente lirico, delicato, soave, pur restando pervaso da un senso di fastidio che resta appiccicato addosso. In un susseguirsi di cambi di pattern, che vanno dal drone all’ambient al power electronics al noise, e caratterizzato da un retrogusto che guarda al southern gothic, “Perverts” va verso la conclusione in modo quasi sognante, etereo.

Non sarà facile arrivarci, perché il disco ha una partenza davvero complicata, anche per chi, come noi, è abituato a sonorità fastidiose. Si chiude in clima disteso, mentre il disco, compiuta la sua crescita, ormai non fa più paura, non inquieta, e per assurdo fa venire voglia di ricominciare da capo.

Oldest Sea – Something Must’ve Only Loved One Of Us (Autoprodotto)

Gli Oldest Sea scelgono Bandcamp (in questo caso soltanto in formato digitale, free download) per tributare il loro omaggio al cantautore statunitense Jason Molina, scomparso all’età di 39 anni, in seguito ad una vita di eccessi, in cui l’alcool ha avuto la meglio, respingendo tutti i suoi tentativi di disintossicazione.

Due tracce per un ipotetico sette pollici, che purtroppo però, come detto, esiste solo nella mia testa. Peccato, perché un disco così lo avremmo preso all’istante, senza starci a pensare troppo, anche solo avendo ascoltato l’ipotetico lato A. Un brano come l’opener “Don’t It Look Like Rain” vale da solo la spesa. Un’immersione totale. Quattro minuti che distruggono tutto quello che abbiamo intorno, e che sta facendo rumore.

E che permettono al silenzio di esplodere, trasportandoci in un’altra dimensione, in cui il pathos del duo deflagra e rimbomba insieme al ritmare del cuore, che rallenta sempre di più fino alla completa simbiosi con i brani, in un annientamento totale. Come gli Oldest Sea possano ancora non avere un’etichetta alle spalle è una cosa su cui davvero ci sarebbe da non dormirci la notte, ma ci piace pensare che la loro scelta di autoprodursi, sia appunto una scelta, etica, e non un ripiego per non aver trovato nessuno che creda in loro.

Per intendersi io un album glielo produrrei domani stesso.

Tristan da Cunha – Live at Punctum (Autoprodotto)

Dei Tristan da Cunha abbiamo già parlato in passato, al tempo dell’uscita del loro ultimo album “Hidden Sea”.

Torniamo nuovamente a raccontarveli in occasione della recente cassetta (autoprodotta) “Live at Punctum”, registrata al Punctum Krásovka di Praga sul finire dello scorso anno. Il loro set non poteva ovviamente prescindere dall’album appena uscito, troviamo infatti in scaletta ben quattro brani tratti dal disco, sugli otto totali. Scelta che non fa altro che ribadire la qualità di “Hidden Sea”, che risulta avvincente, e avvolgente anche in sede live. La profondità di suono tanto cara al duo è l’elemento essenziale intorno a cui ruota tutto quanto, anche quando non sono in studio.

Un concerto, quindi, che ci sentiamo di consigliare vivamente, senza starci a pensare troppo. Nel caso i Tristan da Cunha passino dalle vostre parti, non lasciateveli sfuggire, perdereste un’ottima occasione per farvi catturare dalle atmosfere dilatate di un progetto che guarda alla simbiosi tra uomo e natura con grande attenzione, cercando (e riuscendo) a rappresentare al meglio quelli che sono i propri riferimenti culturali.

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