Trio americano originario della Grande Mela, i Guards non hanno paura di definirsi l’ultimo prodotto della ‘era Twitter/Internet’ che punta a strappare un consenso internazionale coronato dalla tanto agognata dicitura “next big thing”, non rinnegando però anche l’importanza che ancora possono giocare i contatti umani. Richie Follin, volto e voce del gruppo, è infatti il ‘fratello d’arte’ di quella Madeline Follin che aveva allietato l’estate di molti un paio di anni fa con il duo Cults e che non si è fatta certo pregare a pubblicizzare il progetto del fratellino (tanto che sono finiti anche nella blasonata compilation Kitsuné Maison 11 e, più recentemente, in streaming su Pitchfork Advance).
Già dai primi ascolti è chiaro che i Guards hanno fatto bene i loro compiti. Il disco sembra quasi un sunto di tutto ciò che ha scrollato gli entusiasmi generali in questi ultimi anni. Già l’intro, Nightmare, parte con una rabbia in cui è difficile non sentire quegli stilemi WU LYF tanto cari, soprattutto in quel “Oh it’s hot / Yeah it’s hot there” urlato a pieni polmoni, accompagnato da una batteria che esplode e sopraffà il restante parco strumentale.
Ma c’è spazio anche per dei coretti che ricordano da vicino alcuni momenti migliori dei Big Pink (il ritornello di Giving Out), per una chitarrina ammiccante à la Real Estate in Ready to Go, la lucida solarità in falsetto dei Veronica Falls in I Know It’s You, passando all’ormai sempreverde accenno spaghetti-western in Your Man – a cui si appaiano gli urletti decisi in sottofondo di scuola Edward Sharpe & the Magnetic Zeroes di Home Free – per concludere addirittura con qualche suggestione MGMT di ultima fattura in 1&1, dall’andamento lento, accompagnata da tastiere quasi ecclesiastiche e scampanellii d’ordinanza.
Che ci siano citazioni o no, il trio non lesina comunque su momenti piuttosto interessanti: Silver Lining è quel perfetto compromesso tra atmosfere sognanti (“I wanna live forever on a boat out in the sea / I wanna build a happy home, a home for you and me”) e strizzatina d’occhio catchy da battipiede assicurato; Coming True ha quel sapore di inizio millennio, quando in radio era facile sentire hit giocate su una chitarra solitaria sopraffatta poi all’improvviso da un ricco pastiche sonoro; Can’t Repair infine risulta forse il momento migliore, con qualche eco persino Arcade Fire, forte di una batteria che si fa decisa e dominante e un ritornello ampio e riverberato.
In Guards We Trust è un disco in cui è difficile trovare qualche pecca compromettente, anche se non mancano momenti di perplessità (Ready To Go e Your Man su tutte). Al massimo si potrebbe avere qualche remora nell’accettare un gruppo che cita al punto di rischiarsi l’etichetta di “paraculo” in più occasioni, ma è innegabile che, se scopiazzatura c’è, è fatta comunque in maniera magistrale e credibile, dosando sapientemente tutto il parco strumentale a disposizione e sfruttando soprattutto la voce versatilissima del Follin maschio che, quasi fosse uno di quegli imitatori da cabaret, riesce a variare da brano a brano con differenze a volte quasi abissali tra una performance e l’altra.
Tante cose belle, ma anche tanto diverse e confusionarie. Manca una propria impronta personale che faccia da collante al disco. È vero che, anche se ci si mettesse d’impegno, difficilmente si riuscirebbe a trovare falle compromettenti che facciano affondare il disco, ma malgrado questo In Guards We Trust continua, ascolto dopo ascolto, a “suonare sbagliato”. I singoli sono belli, ma non si spingono forse oltre quella soglia critica che permetterebbe di creare un legame mentale biunivoco tra il singolo pezzo e gli stilemi del gruppo. Insomma, non c’è niente che suoni “originalmente Guards” – eppure le occasioni non sarebbero certo mancate. Do we trust in Guards? Forse un po’ sì, ancora per qualche settimana per lo meno.
TRACKLIST:
01. Nightmare
02. Giving Out
03. Ready To Go
04. Silver Lining
05. Heard the News
06. Not Supposed To
07. I Know It’s You
08. Coming True
09. Your Man
10. Can’t Repair
11. Home Free
12. 1 & 1