Loro sono un quartetto romano i cui componenti fanno, o hanno fatto, parte di diverse band; proprio sulle loro differenti influenze sonore si gettano le fondamenta di questo disco da cui, già dopo il primo ascolto, rimango piacevolmente colpito. Dentro ci trovo tutta l’energia di quel fine sessanta in cui il garage si fonde con la prima psichedelia, per arrivare a quel psych-sound che ha caratterizzato quasi tutta la decade successiva.
Nove tracce divise in due lati che ti fanno fare un viaggio come neanche il più impregnato dei francobolli allucinogeni. Spaceman Three (that’s why i killed for the lord) apre le danze e mette subito le cose in chiaro: chi non ha voglia di dimenarsi è meglio che rimanga a casa. Con She’s like a Danger l’invasione beat diviene freak, galleggiando su quella distorta consapevolezza di chi sceglie sempre i percorsi più pericolosi per arrivare al traguardo. Desert è la ballata giusta per introdurre Magic Lanthern (un trionfo del wa-wa) e Dream Machine, che sono un volo di andata e ritorno per quella California in cui i Love e The Doors hanno lasciato un segno indelebile.
Il lato B si apre con Where Are you Going e un giro ai limiti del funk è ancorato alle radici progressive dalla voce di Massimo Di Gianfrancesco, che ti fa da guida per l’inferno. Ascolto I like It ripetutamente e ogni volta mi fa tornare in mente (I’m not Your) Stepping Stone; ma è come se i The Monkees avessero fatto indigestione di certe sostanze proibite; It Happens in this Way è l’inno ideale dei tempi andati, ma il segreto della Grande Bellezza è custodito proprio da chi mastica certe radici. Il tutto si chiude con Francy Dreaming e non farete sogni tranquilli.
Un disco che fa le fusa questo dei Magic Cat
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