Giunti al loro settimo album in studio, séguito del bel Echo Ono di due anni fa, i Pontiak hanno deciso di asciugare il proprio suono, di spolparlo degli inutili orpelli con i quali sovente hanno usato adornarlo in passato e di riportarlo all’osso. Di riportare la musica alla sua dimensione live.
E hanno pensato che era meglio far tutto da soli, si sono rintanati nel loro studio personale in una vecchia fattoria della Virginia e hanno registrato Innocence “alla vecchia maniera”: pochissime takes, strumentazione analogica e post-produzione quasi inesistente. Ne è uscito fuori il loro album più grezzo e diretto, quello più “garage”, se mi passate il termine: un disco di appena 32 minuti dentro al quale stanno compressi 11 pezzi scarni e veloci, che mirano dritti al bersaglio prendendo la strada più breve e brillano (chi più chi meno) per semplice e insana ruvidità.
Il trittico iniziale è da urlo! Ad aprire le danze è lo stoner grezzissimo e rabbioso della title-track, figlia illegittima dei Kyuss ma anche, più direttamente, dei Black Flag di “My War”. Due minuti e diciassette di assalto sonoro e si passa oltre, per finire dilaniati dagli umori detroitiani (MC5 e Stooges, obviously) della bellissima Lack Lustre Rush, un heavy-blues urbano indurito da scossoni fuzz. Si continua su livelli altissimi con Ghosts, un acidissimo heavy-psych che procede zoppicando e assestando bastonate qua e là.
Finita la tempesta un po’ di meritato relax, con tre morbide ballate, tra le quali meritano menzione il folk-hard di It’s The Greatest e la languidissima Wildfires, con Pink Floyd, Rolling Stones e Nick Drake a fare da mentori.
Surrounded By Diamonds giunge provvidenziale a riportare l’album su coordinate heavy, regalandoci il riff meglio riuscito del lotto, una nuvola di vibrazioni heavy-fuzz che levati! e spalancando le porte al rabbioso space rock immerso nel phaser di Beings of the Rarest, una roba che meglio di così, sinceramente, era difficile. So far so good, avrebbe detto quel coglione di Bryan Adams, ma quando tutto sembra andare per il verso giusto ecco che arriva la caduta di stile: Shining è davvero priva di senso e compiutezza, ed è pure maltrattata da una produzione che, se da un lato conferisce ai pezzi ruvidità e immediatezza, dall’altro rischia di rappresentare, come in questo caso (ma anche altrove si poteva fare meglio: eliminando quel fastidioso ronzio ai piatti, per esempio), una grossa palla al piede; fanno ancora peggio Darkness Is Coming, una ballata davvero troppo scontata, sia a livello musicale che lirico, e la conclusiva We’ve Got It Wrong, un hard rock psichedelico che riesce ad essere abrasivo ma non convince, cadendo troppo facilmente nel dimenticatoio.
I Pontiak hanno mostrato ancora una volta la loro pasta a ventiquattro carati, dimostrando di saper scrivere cose davvero belle e di saperle suonare come dio comanda. Però, forse, stavolta hanno peccato un po’ di presunzione e hanno strafatto! Assumere un bravo produttore e far fuori qualche riempitivo non sarebbe stata un’idea cosa così malvagia.
Tracklist:
1. Innocence
2. Lack Lustre Rush
3. Ghosts
4. It’s The Greatest
5. Noble Heads
6. Wildfires
7. Surrounded By Diamonds
8. Beings of the Rarest
9. Shining
10. Darkness Is Coming
11. We’ve Got It Wrong
Line-up:
Van Carney – chitarra, voce
Jennings Carney – basso, organo, voce
Lain Carney – batteria, voce
Pontiak – Lack Lustre Rush from Thrill Jockey Records on Vimeo.