JUMP IN THE URINAL AND STAND ON YOUR HEAD, I’M THE ONE THAT’S ALIVE. YOU’RE ALL DEAD(P.K. DICK, UBIK, CAP. 9)
Oggi mi va di parlare di covers, quei pezzi musicali che ormai, superato il loro tempo, sono divenuti patrimonio collettivo dell’umanità al punto da essere declamati persino da Pavarotti e dai suoi numerosi amici in onore delle disgrazie del pianeta.Oggi sono di cattivo umore (capita a tutti, mica solo a me) e ho voglia di parlare di quelli che non hanno inventato le covers, le eseguono malamente e dicono a tutti che sono opera squisita del loro eccelso ingegno. Mi soffermo solo su due nomi, il resto è infatti sterminato: Jeremy Rifkin e Naomi Klein, divenuti ingiustamente ricchi e famosi (affari loro) sulle idee di un grande cineasta del secolo scorso conosciuto come Guy Debord. Al tempo dell’infinita riproduzione dell’opera d’arte e delle peggiori schifezze (cfr. Walter Benjamin, uno che le covers se le costruiva da solo), questi due personaggi si sono fatti belli delle idee originali di Guy senza citarlo (malizia o ignoranza?), neppure una volta.Non contenti di ciò, anche perchè a Debord dei copyrights fregava men che zero, hanno sviluppato in centinaia di inutili pagine quello che lui condensava in due o tre righe. Un esempio per tutti: la tesi 14 de la Società dello spettacolo ‘Nello spettacolo, immagine dell’economia dominante, il fine non è niente , lo sviluppo è tutto. Lo spettacolo non vuole realizzarsi che solo in se stesso.’ cui doverosamente segue che ‘lo spettacolo è la principale produzione della realtà attuale’ (tesi 15).Guy Debord, come i filosofi antichi, sapeva sintetizzare un mondo complesso in una sola frase; gli imitatori o meglio gli esecutori di covers, non ci sono riusciti in due immensi, tediosi e sopravvalutati tomi chiamati ‘La fine del lavoro'(J. Rifkin 1995) e ‘No logo’ (N. Klein 2000).Se avete occasione di incontrarli (non è difficile, sono in tutti i talk shows del globo), sputate loro in testa perchè se lo meritano e senza pentimento, perchè hanno troppi dollari per asciugarsi.Chiusa per il momento l’invettiva (sto già meglio!), riesco a parlare serenamente de ‘La società dello spettacolo’, libro pubblicato nel 1967 che sembra scritto domani mattina. E’ il più grande noir degli ultimi decenni, una lettura che vi lascerà senza fiato e un dipanarsi della trama degno di una classica tragedia greca, da leggere prima che qualche presidente di multinazionale ne tragga una costosa versione cinematografica con finale inadeguato.Racconto solo l’inizio: c’è una signora onesta e virtuosa (che si chiama Realtà), uccisa e sostituita da una zoccola pittata (che si chiama Immagine); il resto leggetevelo voi.Cito soltanto, perchè è doveroso, un consiglio dell’autore: ‘Bisogna leggere questo libro tenendo a mente che è stato scritto volutamente con l’intenzione di nuocere alla società dello spettacolo. Non ha mai detto nulla di estremista’. Nota finale per i due o tre lettori che non hanno studiato al GalileiNo copyright significa che tutto ciò che gira nella rete è un bene comune al genere umano.Se qualcuno ne vuole trarre profitto (o lo copia dicendolo suo) è un pezzo di merda, che si espone agli occhi della Sfiga e ne merita la pesante reazione. Per chiarezza l’intera mia opera è, e sarà, no copyright. Non ne vado fiero, ma mi va bene così ettore manzilli