“ ( STAMPA ALTERNATIVA / NUOVI EQUILIBRI 2010 ) RILASCIATO IN CREATIVE COMMONS 2.5 ITALIA Maledetta fabbrica cinque autori che raccontano altrettante storie che raccontano di vita sul posto di lavoro, di vite di lavoratori. Vita è un termine inappropriato. Non parlano di vita. Parlano di morte. Perché di lavoro si muore, lo sanno tutti. Se cambiassi la punteggiatura.
Perché di lavoro si muore?
La sostanza di questo libretto non è la risposta a questa domanda e neppure vuole essere solo una raccolta di testimonianze.
Raccontare le impressioni scaturite dalla lettura di questo libro mi sembra banale e retorico.
Sarebbe un peccato perché non c’è retorica in queste storie. C’è verità, ironia, utopia.
E una domanda che ti entra in testa fin dalle prime pagine e non ti molla più.
Perché? Perché sapendo che di lavoro si muore rischiamo lo stesso. E’ come con le sigarette.
Sappiamo che ci fanno male eppure non riusciamo a smettere.
E’ un vizio? Che piacere ci dà?
“Tutti i giorni è la stessa cosa”
“Poi non c’è più stato il tempo per svegliarsi”
Il libro inizia e si conclude con queste due frasi. In mezzo c’è rabbia e frustrazione.
E’ un utopia pensare di scamparla perché il lavoro ti fotte.
Ti fotte perché pensiamo di non poterne fare a meno, come l’eroina. Ma quanto te lo inietti non ti fa scoprire universi paradisiaci. Perché pensiamo di non poterne fare a meno?
Il lavoro serve per vivere, sicuramente, ma quanto siamo disposti a rischiare? Quanto vale la famosa candela? Un telefonino, la rata per il suv o portare la famiglia in Costa Smeralda per fare una foto davanti al Billionaire. Sono queste le cose, ribadisco la parola cose, per cui lavoriamo.
E se invece una scelta non c’è!
Siamo destinati ad essere schiavi. Costretti a lavorare in condizioni disumane.
Però la domanda è sempre la stessa! Perché?
Una delle storie parla d una fabbrica chimica. L’ ho riletta due volte, come del resto tutto il libro.
La prima volta mi ha scioccato, la seconda volta la rabbia ha avuto il sopravvento.
Ho iniziato a chiedermi perché alcune persone sono costrette a lavorare in una fabbrica che li uccide, che inquina l’ambiente, che impoverisce la loro vita e quella dei loro cari, che umilia la loro dignità di persone? Tutto per produrre una sostanza chimica capace di creare quel particolare colore con il quale un Briatore qualsiasi può colorare il parquet della sua barca? Che fra l’altro è lo stesso colore per cui la mia amica Giovanna ha speso due mila euro per dipingerci una parete del suo loft in centro, che non potrebbe permettersi ma vivere al di sopra delle nostre possibilità è il vizio che sfoghiamo grazie al lavoro di merda a cui ci costringiamo. E allora poi qualche soddisfazione dobbiamo pure togliercela. Sto divagando.
Voglio terminare.
Si fuese el trabajo tan bueno se lo hubieran guardado los ricos para si solo!
Se il lavoro fosse una cosa così bella, i ricchi se lo sarebbero tenuti per loro!
Ilaria