Lo ammetto, sono uno di quelli che a Vasco Brondi ci si è affezionato, uno di quelli che si sentiva su myspace le prime demo (compresa la cover di La domenica delle salme), uno di quelli che si era fatto mandare il primo cd a casa (quello avvolto nell’A4 dove c’erano stampati i testi), uno di quelli che quando era uscito Canzoni da spiaggia deturpata su La Tempesta Dischi se ne andava in giro con la faccia da “te lo avevo detto che era bravo”. Ma ero anche uno di quelli che in fin dei conti si era anche chiesto “come sarà il suo prossimo lavoro?” e che non era riuscito a darsi risposte propriamente ottimistiche.
Ora a distanza di due anni, con un libro pubblicato e un premio Tenco vinto, Le luci della centrale elettrica tornano con questo Per ora noi la chiameremo felicità: dieci nuove canzoni per cercare di superare la tanto temuta prova del secondo album.
Cara catastrofe apre l’opera con accordi neri e cupi (quelli a cui siamo già stati abituati), mentre un cantato (anche questo già visto) riversa nelle nostre orecchie valanghe di giochi di parole e metafore azzardate, raccontando di quando “ci metteremo a tremare come la california” o dei “call center che ci fregano sempre”. Quando tornerai dall’estero, affondando in arrangiamenti delicati, cresce lentamente fino a trafiggere il cuore, con i suoi sentimenti tanto profondi quanto drammaticamente venati di pessimismo, mentre Una guerra fredda continuando a veleggiare su toni negativi, narra di paesaggi apocalittici in cui “a forza di ferirci siamo diventati consanguinei”. Fuochi artificiali, con “le repubbliche democratiche fondate sui telespettatori”, le “constatazioni amichevoli del nostro niente” e gli occhi “lucidi come Mercedes”, è come un urlo in mezzo a una folla, con gli archi che ricordano molto i Sigur Ros e la voce urlata ma troppo lontana per poter graffiare. L’amore ai tempi dei licenziamenti dei metalmeccanici, cullata dagli slide, venata di cinica comicità, scivola via, lieve come un corpo abbandonato alle onde dell’oceano, raccontandoci dei nostri giorni in cui non sembra esserci soluzione altra se non l’arrendersi. A seguire, Anidride carbonica, angosciata, allucinata e disperata, racconta delle nostre parole (che non sono altro che, appunto, anidride carbonica) e delle frecce tricolori che si schianteranno ancora in cielo sopra di noi, mentre Le petroliere, usando un imperfetto che permette solo condizionali non realizzati, un presente che non da scampo e un futuro che incombe ancora più inquietante come una condanna, ci accarezza con melodie meno claustrofobiche ma non certamente piene di speranza o ottimistiche. Per respingerti in mare si chiede “dove cazzo siete andati tutti?” lasciando a I nostri corpi celesti, più tesa e inquieta, il compito di ricordarci di quando “i nostri sogni sfondavano i soffitti”. In conclusione, Le ragazze kamikaze, con tremendo rigore, spegne il disco, non concedendo nemmeno in ultima battuta, un briciolo di speranza o uno spiraglio di luce.
Per ora noi la chiameremo felicità, con la sua voce ancora mesta e disperata, i suoi testi cut up cantati-raccontati, i suoi pochi accordi neri e cupi, suona molto simile al precedente lavoro. Ma, nonostante la struttura resti la stessa, è impossibile non notare come gli arrangiamenti siano stati curati (Giorgio Canali, Stefano Pilia, Rodrigo D’Erasmo e Enrico Gabrielli fanno un lavoro da maestri), come i vari pezzi siano molto più corposi, raffinati e introversi, oppure, non notare come alla rabbia del precedente disco si sia sostituito un senso di completa disillusione e impotenza. Se i capisaldi restano comunque il De Andrè della Domenica delle salme, il Rino Gaetano più urlato o l’onnipresente Giorgio Canali, è innegabile non accorgersi dei nuovi riferimenti a Sigur Ros o a Massimo Volume.
E’ un album dannatamente claustrofobico, in cui la disperazione non riesce mai ad aver la forza di esplodere veramente, in cui i pezzi in apparenza sembrano doppioni del precedente lavoro, ma che in realtà nascondo caratteristiche profondamente diverse. Perde punti rispetto a Canzoni da spiaggia deturpata perché all’effetto “novità” si sostituisce l’effetto “de ja vu”, oppure perché agli inni generazionali preferisce maggiormente l’introversione. Tutto ciò, però, non intacca poi così a fondo la caratura dell’album, il quale resta decisamente di qualità e assolutamente da ascoltare.
In conclusione, Vasco Brondi supera l’esame del secondo disco, non a pieni voti, ma comunque a testa alta. Per il futuro sarà necessario applicare modifiche maggiori, per evitare di creare inutili doppioni, ma, per ora, il gioco vale ancora la candela. In fondo, anche se gli anni zero sono finiti, è innegabile che siamo ancora invischiati in questi “cazzo di anni”.
TRACKLIST:
01. Cara Catastrofe
02. Quando Tornerai dall’Estero
03. Una Guerra Fredda
04. Fuochi Artificiali
05. L’amore ai Tempi dei Licenziamenti dei Metalmeccanici
06. Anidride Carbonica
07. Le Petroliere
08. Per Respingerti in Mare
09. I Nostri Corpi Celesti
10. Le Ragazze Kamikaze