Dietro al moniker ‘Dark Mean’ si nascondono tre giovani amici (Mark Dean, Billy Holmes e Sandy Johnston) che, provenienti da una delle terre più musicalmente prolifiche d’occidente (il Canada), dopo quattro anni di lavoro insieme e qualche EP per ingannare l’attesa, hanno appena ultimato il proprio album d’esordio. Definendoli una band folk certamente non si sbaglia ma può risultare comunque riduttivo. Dark Mean è infatti un album denso di sonorità dalle sfumature più varie: gli strumenti suonati spaziano dal banjo al pianoforte, le melodie dal folk più americanamente country al pop delicato fino alla musica ambientale, mantenendo sempre una stabile coerenza di fondo.
Anche se non indossate camice di flanella a quadri e la sera non siete soliti prendete sonno a suon di whisky e banjo in veranda dunque, non temete, Dark Mean è un disco capace di farsi apprezzare da chiunque, non solo dagli appassionati di folk. Dentro ci ho trovato quasi tutto quello che mi tocca l’anima della poca musica folk che ascolto (la dolcezza degli Swell Season, la bucolicità di Tallest Man On Earth e di Ray LaMontagne) ma anche molte suggestioni dal mondo pop europeo e americano (Death Cab For Cutie e Shout Out Louds, per esempio).
Sono solo dieci tracce per una quarantina di minuti di ascolto ma, grazie alla plurità delle sonorità presenti nel disco, sembra in realtà molto più lungo e risulta piacevole da ascoltare in qualsiasi situazione, senza diventare mai noioso né monotono.
Il disco inizia con una traccia delicata ed essenziale, “Algoquin”, in cui una chitarra acustica accompagna la roca voce di Mark. Segue uno dei singoli dell’album, “Happy banjo”: molto più ritmata e movimentata, risulta una traccia orecchiabile in cui a farla da padrona è un banjo che non smette mai di essere pizzicato. Si sente già qualche avvisaglia di una virata verso il pop che, infatti, non tarda ad arrivare con “Smoke lake”. L’inizio vagamente elettronico non lascia dubbi sul cambiamento; le atmosfere si fanno più movimentate, senza più traccia delle suggestioni folk dei brani precedenti. “Finland” continua su questa scia, effettuando però un’ulteriore virata, verso il mondo della musica ambient. Strumenti a fiato e una voce femminile rendono il tutto più delicato e ovattato. Anche in “Music box” le atmosfere rimangono ovattate ma ritorna il tocco bucolico, questa volta con quella delicatezza nostalgica alla Swell Season. Nostalgia che si fa più marcata in “Lullaby” che, come il titolo lascia presagire, è una traccia molto delicata e si lascia accompagnare dal pianoforte in sottofondo. Un’inaspettata svolta nel finale della traccia fa tornare il banjo e la voce più urlata, anticipando un ritorno al sound folk. Infatti questo accade in “Acoustic”, dove le voci quasi sussurrate sono accompagnate dall’armonica a bocca e dalla chitarra. “China”, invece, ritorna sull’abbozzato ambient di tracce come Finland. Con una simmetria accurata, “Dark banjo”, la penultima traccia, riprende la già citata Happy Banjo, seconda traccia del disco. La melodia, infatti, è la stessa ma qui si fa più malinconica, contaminata dalle già incontrate sonorità ambient. A chiudere il disco, “Old man”, una lunga traccia strumentale, dalle atmosfere distese e rilassate, giocata sul piacevole contrasto tra violino e chitarra elettrica.
Il lavoro fatto dai Dark Mean con il loro album d’esordio risulta dunque pienamente convincente. Pur mantenendo un forte legame con il loro genere musicale prediletto, quello folk, non si sono limitati a confezionare un disco monotono e settoriale. Le forti influenze pop, con cui il gruppo ha arricchito il disco, lo rendono un esperimento ben più che riuscito e che si lascia dunque ascoltare piacevolmente.
01 Algoquin
02 Happy Banjo
03 Smoke Lake
04 Finland
05 Music Box
06 Lullaby
07 Acoustic
08 China
09 Dark Banjo
10 Old man