Alcuni mesi ci separano dalla pubblicazione del loro primo disco, ma noi, ancora entusiasti per quelle sette canzoni, siamo riusciti ad intervistarli. A voi i The Great Northern X.
iye Partendo dalla mia ignoranza, vorrei chiedervi di parlarci un poco dei vostri progetti precedenti (Art Of Wind e Flap), di come si sono sviluppati, di quali sonorità venivano toccate, quali dischi sono stati pubblicati.
Marco Degli Esposti: Io posso parlare personalmente solo per Art of wind, di cui sono unico membro. Più che di un progetto si tratta di una reazione. Dove abito io non c’è nulla e suonare da solo, voce e chitarra, significa sostanzialmente varcare quell’orizzonte di niente che mi circonda e fare quello che più mi piace esclusivamente seguendo il mio gusto personale, senza rendere conto di nulla a nessuno.
Flap è un power trio strumentale che è sulle scene da parecchi anni ormai, con diversi dischi e live alle spalle.
Great Northern X è frutto dell’incontro della mia esperienza e delle attitudini sperimentali dei Flap. Io porto tracce scritte voce e chitarra, che vengono poi trasformate e rivoluzionate in chiave elettrica.
iye In riferimento a The Great Northern X, invece, quali sonorità sono state mantenute e quali abbandonate? Si può forse parlare di un suono totalmente differente rispetto al passato?
Marco: Per me si tratta certamente di un suono nuovo, o comunque di un’impostazione inedita nel comporre e nel suonare dal vivo.
iye Ci sono band o scenari particolari a cui maggiormente fate riferimento?
Marco: Perseguiamo un sentiero tracciato da quelli che sono i nostri gusti comuni. Ci sono certamente parecchi gruppi o musicisti da cui traiamo indirettamente ispirazione, provenienti tanto dalla scena dei Novanta (God Machine, Slint, Giant Sand) quanto da quella dei Sessanta (Cohen, Dylan e Young su tutti), ma questo non deve essere assolutamente letto come mero citazionismo. The Great Northern X vuole essere molto di più!
iye Nel vostro album cantate in inglese. Come mai questa scelta? Non avete timore che l’ascoltatore non riesca a cogliere in pieno il messaggio che volete comunicare?
Marco: Voler cantare in inglese è paragonabile alla scelta di uno strumento da suonare. Scrivere o registrare un brano con la chitarra piuttosto che con il piano è una condizione estetica dettata dalle proprie attitudini, dal proprio bagaglio culturale. Se la canzone è valida la potrai suonare in mille modi differenti e il risultato sarà sempre il medesimo. Stessa cosa per la lingua, che rappresenta semplicemente il mezzo con cui veicolare il messaggio. L’Italia soffre di un forte spirito campanilista, che per pigrizia negli ultimi anni ha spinto molti musicisti ad abbandonare l’inglese in favore di una lingua più commestibile e più “cantabile” ai concerti.
Oggi semplicemente cantare in italiano “fa figo” e, chi decide di non allinearsi alla tendenza, suscita clamore. Mi piacerebbe sapere se qualcuno si è mai permesso di chiedere a Bjork perché canta in inglese.
Mi sembra un dibattito ampiamente superato e non mi piace spenderci su troppe parole. Quando tutti canteranno in cinese cosa succederà?
Stesso discorso per le grafiche del disco, si tratta semplicemente di una scelta formale dettata dal gusto. Che poi questo sia un incentivo a varcare i confini nazionali va da sé.
iye Potreste fare un riassunto di quello che dicono i vostri testi, in modo che anche chi non ci capisce niente di inglese (vedi me) possa avere un’idea più precisa del lavoro che si trovano davanti?
Marco: Non è semplice riassumere il senso delle canzoni in questo modo. Non saprei come fare, sinceramente. Ogni pezzo ha una storia a sé, essendo stato scritto in un particolare momento. Inoltre la logica della composizione per come la vedo io è completamente inscindibile dall’aspetto musicale, nel senso che non è possibile effettuare una semplice parafrasi solo dei testi.
iye Dopo aver maneggiato per un bel po’ disco e copertina mi sono accorto che TUTTO è scritto in inglese! C’è forse la volontà di provare ad esportare fuori confine la vostra musica? Quali sono le vostre intenzioni, i vostri obiettivi, le vostre speranze?
Marco: Le band italiane sono apprezzate all’estero nel momento in cui smettono di compiacere un pubblico comodo e modaiolo come il nostro.
Ultimamente più sento parlare di un gruppo e più questo gruppo mi fa schifo.
iye Qual è la vostra opinione in riferimento all’attuale scenario musicale italiano?
Marco: Quella italiana è una fauna musicale inserita in un ecosistema del tutto estraneo alle evoluzioni internazionali e pretende che qualcuno le faccia proprie per tradurle in una forma compiacente e di facile consumo. E’ così da sempre, sin dagli anni ‘60, e non mi pare sia cambiato molto.
Milano non è New York, su!
iye Credete che ci possa essere qualche speranza per l’Italia di competere musicalmente con gli altri paesi? Secondo voi, come mai l’Italia difficilmente riesce a scavalcare i confini e ad imporsi all’estero con una band?
Marco: Non sono d’accordo. Abbiamo gruppi eccezionali che hanno seguito in tutto il mondo, relegati a una scena minore solo perché non incarnano la moda del momento. Penso a nomi quali Zu, Ovo, Ufomammut e altri che al momento mi sfuggono, che rappresentano egregiamente l’Italia all’estero.
iye Ho letto che avete registrato tutto il disco in presa diretta e che poi i brani sono stati mixati in analogico. Come mai questa scelta?
Marco: La registrazione del disco è stata come un salto nel buio. Ci siamo affidati a Enrico, Luca e Sollo per tutte le prese, volevamo fare qualcosa che immortalasse il suono di quel particolare momento. La presa diretta è stata la formula migliore per catturare l’anima delle canzoni, permettendoci di concentrare maggior tempo ai mix. Col senno di poi, molte cose le avrei fatte diversamente ma quando si registra il disco ZERO le risorse sono, ahimé, sempre troppo limitate.
iye Come è stato lavorare in “casa” dei Gazebo Penguins, all’Igloo Audio Factory?
Marco: L’Igloo Audio Factory è un posto incredibile, si convive e si lavora gomito a gomito con persone eccezionali.
Enrico ha inoltre sempre registrato i miei dischi Art of Wind e averlo anche questa volta dietro al banco è stato fondamentale!
iye Sul retro del vostro disco campeggia l’imperativo “TO BE PLAYED AT MAXIMUM VOLUME”. E’ questa una dichiarazione di intenti?
Marco: Ogni disco dovrebbe essere suonato al massimo volume! L’abbiamo registrato al massimo volume ed è così che deve suonare. In studio abbiamo voluto ricreare l’approccio che adottiamo quando suoniamo dal vivo.
iye Qual è la vostra idea di musica, di band, di concerto?
Marco: Great Northern X nascono per fare concerti e la resa live è l’obiettivo ultimo di ogni singola prova. Per cui il suono è una componente inscindibile dalla composizione dei brani e può decretarne la forma e la struttura a seconda delle necessità, purché ci soddisfi nel momento in cui lo riproponiamo sul palco.
iye Quale importanza date ai dischi? Qual è la vostra idea in riferimento al comprare/scaricare dischi?
Marco: Sull’acquisto di dischi ciascuno è libero di adottare una propria personale politica. Trovo tuttavia ridicolo perseguire il reato di download quando vedo ancora su certi scaffali dischi a 20 euro. Comprare musica oggi ha un valore sicuramente aggiunto rispetto al passato. Chi decide di farlo è perché sceglie di contribuire alla causa “musicale” dell’artista, non certo a quella “economica” della distribuzione. Per cui vedo un processo di grande innovazione in tutto questo, fondato sulla libertà di condividere cultura. E non so quanto questo riduca le vendite. Se un gruppo mi piace lo vado a vedere e mi assicuro che i 15 euro che spendo per il vinile finiscano in mano a un chitarrista sudato piuttosto che a una commessa della Ricordi.
iye Il vostro disco è stato co-prodotto da In The Bottle Records, Fooltribe Records e Upupa Produzioni, qual è la vostra opinione in merito alle etichette indipendenti? Come credete possa svilupparsi tale mondo?
Marco: In The Bottle – Fooltribe – Upupa Produzioni sono prima di tutto amici che, come noi, investono risorse ed energie per portare avanti un’idea. Ogni risultato che ottieni è frutto del tuo sudore, ed è la cosa più gratificante che possa capitare. Tizio in questo senso è un esempio più unico che raro, vista la mole di progetti che riesce a fare e portare avanti. Poter collaborare con lui è il massimo. Stesso discorso per Upupa, amiamo da sempre i Three In One Gentleman Suit e poter condividere tutto questo con loro è fantastico.
iye Infine, ancora due domande. La prima, banale: quali sono le vostre intenzioni future (concerti, tour, videoclip, nuove registrazioni)? La seconda, altrettanto banale: se credete che mi sia dimenticato di chiedervi qualcosa di importante o qualcosa di cui ci tenevate tanto a parlare, fatevi una domanda e datevi una risposta…
Marco: Per il futuro? Beh molte cose in cantiere. Sicuramente tour e continuare a suonare il più possibile. Al momento stiamo già lavorando a parecchio materiale nuovo che non si sa né come né quando prenderà forma. Questo è il bello.