Il quinto lavoro dei Numero6 è una sublimazione pop, nel senso che il gruppo genovese giunge alla perfezione del suono pop che si congiunge a liriche squisitamente pop.
Pop. Non è quel suonaccio commerciale che immaginate voi, ma qualcosa che ti entra dentro e non ti lascia più, quello zucchero che ti fa star bene. Io amo in totale forse una decina di dischi pop, ma i Numero6 riescono là dove sono arrivati in pochi, come i Prefab Sprout o gli Style Council, facendo di melodia e dei testi un unicum davvero godurioso. Nei precedenti lavori c’era più rock, non che questo non sia più presente, ma vi è una melodia totale che avvolge davvero. Michele Bitossi è il 90% dei Numero6, ed è un musicista geniale, cinico ed incontinente. Dopo un disco solista, un libro e molte catarsi, arriva a scrivere canzoni che amplificano il discorso sul rapporto a due, argomento comunque sempre centrale nella sua poetica. Certamente, anche dopo aver letto il suo libro, si ha la sensazione che Bitossi sia uno scrittore di grande sensibilità, che arriva allo scopo per molte vie. E’ un disco che ha tanto da dare, da sentire con il cuore, non pensando neanche tanto a dove vuole arrivare, solo sentire. Dio c’è era la scritta che negli anni settanta / ottanta si poteva trovare sui muri delle città, e stava ad indicare che in zona c’era uno spacciatore, trovarlo poi era un altro paio di maniche.
Questa scritta può essere interpretata in molti modi, proprio come la musica dei Numero6. Qui c’è classe ed ispirazione, unitamente ad una grande sapienza sonora. Si sente anche il tocco dei Greenfog, uno studio musicale che sta diventando in punto di riferimento a Genova, e faro per un certo tipo di suono, vedi anche l’ultimo disco dei Bosio. Non sbagliano un disco i Numero6, e il loro sguardo disincantato su questa vita (in fondo) di merda è un qualcosa di cui non riesco a fare a meno. E spero anche voi. Esce il 12 ottobre, finalmente Dio c’è pure quel giorno lì.
E ricordatevi che l’importante è verticalizzare.