Ogni tanto anche il cuore più biecamente metallico necessita di una pausa di riflessione, di un momento nel quale arrestare il vorticoso gorgo sonoro che lo avvolge regalandosi qualche ora di di meritato riposo.
E visto che questo cuore di musica non può proprio farne a meno, non c’è nulla di meglio che un disco come questo degli Ainulindalë per fare un pieno di pace interiore, prima di rigettarsi a testa bassa nel doloroso incedere del doom, nella furia distruttrice del death, nella disperazione del depressive o nel misantropico nichilismo del black, a seconda dei casi.
Questa band altro non è che un progetto solista di Engwar (Thomas Reybard) , musicista francese che con questo monicker è attivo da oltre un decennio ma del quale, però, l’ultima consistente traccia discografica risale all’ormai lontano 2004, con l’album d’esordio “The Lay Of Leithian”; il suo sospirato successore, Nevrast, non va considerato certo solo alla stregua di una panacea per tutti i mali, intendiamoci, ma in realtà ci regala brani lievi come piume e profondi come i pozzi presenti nei cortili delle case coloniche.
Questo sound si allontana dalle tonalità apocalittiche di certo neo folk ma fa spazio ad atmosfere più rilassate, tra musica da camera e sentori bucolici, se vogliamo, avvicinabili a quanto fatto meravigliosamente lo scorso anno da Vàli, anche se a un livello leggermente inferiore (e nemmeno sarebbe giusto pretendere tanto a chiunque si cimenti in questo genere) e con un utilizzo più consistente di strumentazione classica.
Gli Ainulindalë (l’uso del plurale per una one-man band in questo caso è giustificato dal numero considerevole degli ospiti che hanno fornito il loro contributo) affascinano anche grazie anche al loro immaginario pesantemente intriso di tematiche tolkeniane e, pur senza spingere eccessivamente sul versante epico, Nevrast viene disseminato di momenti di grande pathos emotivo, specialmente quando Engwar viene affiancato da una voce femminile che ne arricchisce ulteriormente i contenuti qualitativi.
Una serie di brani ricchi di diverse sfumature e dall’eccellente livello medio , tra i quali segnalerei le incantevoli Hither Land, Vinyamar e la title-track, si susseguono nel corso di un lavoro che non delude ma che, anzi, soddisfa appieno anche chi non è un habitué del genere, proprio per la leggerezza esibita che non va confusa con una mancanza di profondità ma che è semplicemente sinonimo di sensibilità compositiva, pulizia strumentale, addirittura di candore tramite i quali ci si immerge idealmente nell’incanto degli scenari ben rappresentati da Peter Jackson nella trasposizione cinematografica della saga tolkeniana.
Come recitava una nota pubblicità della mia infanzia : “contro il logorio della vita moderna” ….
Tracklist:
1.Hither Land
2.The Parting
3.By the Shore
4.Namarië
5.Vinyamar
6.Under May’s Moon
7.Nevrast
7.Distant Land
Line-up:
Engwar – Vocals, All Instruments
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