In questi ultimi tempi la mia amata iye mi ha concesso la fortuna di poter ascoltare e, nel mio piccolo, giudicare un buon numero di dischi prodotti da quegli esseri incredibili che sono gli one man band.
Vi giuro che non ritornerò sulla consueta immagine romantica con la quale sono solito identificare questo tipo di musicisti ma tenterò, invece, di prendere in esame un altro aspetto suggeritomi dall’autore di questo album.
I miei precedenti ascolti di suonatori solitari (mi si perdoni lo scempio linguistico ma mi è utile per evitare inutili ripetizioni) sono stati tutti o quasi realizzati da autori giovani se non giovanissimi, se si eccettua forse i grandi One Man 100% Bluez e Mister Occhio che comunque di anni ne hanno poco più di trenta e, nel caso di questo folle spagnolo, si parla addirittura di un ventenne.
Forse sarà un mio stupido stereotipo ma ho sempre immaginato il suonatore “di strada” come un vecchio barbuto dedito alla vita sregolata e all’alcool, folle strimpellatore di vecchi blues suonati con voce catarrosa e con tecnica tanto incerta quanto incisiva.
E invece che mi trovo di fronte?
Dei baldi giovani, persino “carucci”, che nell’era degli i-Pod e della musica fruita unicamente come prodotto di rapido e poco approfondito consumo si armano di chitarra, batteria e quant’altro e da soli si mettono a suonare quanto di più primitivo e selvaggio si possa immaginare.
E di suono primitivo si deve davvero parlare prendendo in esame le 12 canzoni che compongono questo album (in realtà sono 10, la prima e l’ultima sono piccoli frammenti parlati) nelle quali il nostro Re Caimano, aiutato da vari effetti e diavolerie assortite, ci propone qualcosa di veramente urticante che lo pone come erede più di una band come gli Oblivians che di un John Lee Hooker.
Solo tre pezzi si possono dire leggermente più “tranquilli” e sono la lunga Ghosts, Dream (che, a dire il vero, comincia soft per poi incattivirsi dopo poco più di un minuto) e Blue che si apre con un fischiettio spensierato per poi dispiegarsi con un incedere pericolosamente sinistro.
Per il resto è pura furia iconoclasta che non lascia tregua all’ascoltatore, il quale viene sommerso da una veemenza incontenibile.
Per gli amanti del blues più trashy o del lo-fi più estremo quindi un ottimo disco che pone il musicista madrileno sulle tracce di quella genia di folli che ha come capifila personaggi del calibro di Reverend Beat-Man o di Bloodshot Bill.
Se un termine come punk, del quale troppe volte si abusa, si riferisce a chi, componendo canzoni,vuole provocare in chi l’ascolta una reazione forte e, sopratutto, se il valore aggiunto di un disco risiede sempre nell’attitudine, allora questo Dream è un disco veramente punk.
Tracklist:
1.Hello, my name is King Cayman and this album is called DREAM
2.அழுக்கு காலணி
3.666
4.Roses in trash
5.The other side (Waters are calmed again)
6.Ghosts
7.Born to die / Normal person
8.Dream
9.Innerpuzzle
10.You make me shine
11.Blue
12.MARED dellac si mubla siht & namyaC gniK si eman ym ,olleH