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Recensione : Eye Of Solitude – Dear Insanity

"Dear Insanity" provoca un turbinio di sensazioni dalle quali è impossibile non uscirne completamente prosciugati da un punto di vista psichico

Esiste un genere musicale chiamato doom metal che, nelle sue forme più estreme, è in grado di regalare lavori che sono delle vere e proprie esibizioni di sofferenza tradotte in musica; ci sono dischi che, a loro volta, si ha quasi il timore di riascoltare, perché dopo i primi passaggi è chiara la percezione che non potranno essere derubricati al semplice ruolo di opere musicali, ma lasceranno un segno indelebile in chi avrà la fortuna di ascoltarli.

Dear Insanity provoca un turbinio di sensazioni dalle quali è impossibile non uscirne completamente prosciugati da un punto di vista psichico; quando gli Eye Of Solitude pubblicarono nel 2013 “Canto III” apparve chiaro che era stato raggiunto dalla band di stanza a Londra (ma, di fatto, un’internazionale del dolore, come ebbi a definirli all’epoca) un livello tale da rendere alquanto difficile anche il solo avvicinarvisi.
Ma la riprova del talento formidabile di questo gruppo di musicisti (basti vedere cosa hanno combinato di recente, travestiti da blacksters sotto le mentite spoglie di Sidious…) è arrivata puntuale con il presente Ep, sempre licenziato dalla label francese Kaotoxin Records, composto di una sola traccia di 50 minuti.
Raggiunto il massimo possibile in ambito death-doom melodico, la magnifica band guidata da Daniel Neagoe ha perso per strada, dopo “Canto III”, il tastierista Pedro Caballero ed il chitarrista Indee Rehal-Sagoo ed è possibile che ciò possa aver contribuito a chiudere e ripiegare ulteriormente su se stesso il sound, facendolo sfociare in un funeral dai tratti sovente disperati ma caratterizzato sia da parti ambient tutt’altro che rassicuranti sia, soprattutto, da una lunga parte finale (Undone) intrisa di una struggente malinconia; forse non è casuale neppure il fatto che alla stesura di questo frammento del lavoro abbia partecipato Déhà, altro grande musicista della famiglia Kaotoxin, il quale ha portato sicuramente in dote quel senso melodico che avevamo potuto ammirare nello splendido “Thoughtscanning” dei suoi We All Die (Laughing).
In buona sostanza, Dear Insanity si rivela un’esperienza uditiva che non potrà non scuotere le anime più sensibili: gli Eye Of Solitude ci portano a spasso per oltre mezz’ora nel loro mondo privo di luce, annichilendoci con l’oppressivo gorgoglio di Daniel (al quale, attorno al minuto 16, arriva un breve cambio dall’altrettanto catacombale ugola di Evander Sinque degli Who Dies In Siberian Slush), una voce che si traduce in un rantolo, sintomo di una sofferenza lancinante che nulla potrà essere mai in grado di lenire; le bradicardiche ritmiche condotte da Adriano Ferraro e Chris Davies, sulle quali la chitarra di Mark Antoniades tesse melodie di una tristezza straziante, paiono doverci accompagnare a forza nell’Ade nella loro ineluttabilità fino a quando, quasi insperato, un nuovo giro di pianoforte comincia a scavare nel profondo dell’anima, esaurendo le scorte residue del nostro apparato lacrimale per comunicarci che, se una tenue speranza poteva ancora esserci, ormai è troppo tardi per riuscire ad imprimerne il fioco bagliore sulla nostra retina un’ultima volta.
Quando le note conclusive di Dear Insanity si esauriscono, con il pianto che lascia spazio ad una straniante sensazione a metà tra la pace e lo sbigottimento, restano solo due certezze: la prima, è che se non esistesse il doom non ci sarebbe alcun modo di rappresentare il dolore in una forma così sublime; la seconda, è che gli Eye Of Solitude sono, oggi, quelli che meglio riescono a farlo sul pianeta, proseguendo con passo lento ma sicuro in questa loro via lastricata di sofferenze che è ben lungi dall’essere vicina alla destinazione finale ….

Tracklist:
1.Dear Insanity
Part I Phantasmagorial Allegory
Part II Dear Insanity
Part III Apparitions
Part IV Undone

Line-up:
Daniel Neagoe – vocals
Mark Antoniades – guitars
Chris Davies – bass
Adriano Ferraro – drums

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