Gli Eternal Tapestry tornano alla carica all’insegna di suoni lisergici dopo l’album dell’anno scorso “Guru Overload”, con un nuovo disco dal titolo Wild Strawberries, che rappresenta a mio parere uno dei migliori lavori realizzati dalla band americana, se non la migliore prova finora, ancor più di quel “A World Out Of Time” uscito nel 2012.
In questo nuovo corposo lavoro, che rappresenta l’ottavo album per la band dagli esordi nel 2005, gli esploratori sonori da Portland si spingono oltre i confini precedentemente raggiunti con le loro jam sessions all’insegna della psichedelia prevalentemente strumentale, realizzando una suite di tutto rispetto, dai suoni cadenzati e dilatati, una musica che porta fuori dal tempo, come recita non solo l’album sopra citato, ma un po’ tutta l’opera della band fondata da Nick Bindeman e Dewey Mahood.
Come di consueto, la struttura delle registrazioni è basata su jam sessions in cui giocano un ruolo importante ampie improvvisazioni ed esperimenti sonori, per un totale di 35 ore di registrazioni, da cui sono stati selezionati ed estratti dalla band i pezzi più riusciti, che vanno a comporre gli otto brani della raccolta, estesi su 80 minuti circa.
Wild Strawberries instaura una connessione forte tra la musica e l’ambiente naturale, un legame che trae ispirazione direttamente dai boschi e dai ricchi paesaggi naturali dell’Oregon, vissuti in prima persona: per registrare questo album, infatti, la band si è ritirata in una location isolata sulle pendici di un monte, osservando a stretto contatto la natura circostante, dai corsi d’acqua alla flora alla volta stellata. Nel loro rifugio bucolico, questa connessione e uno stile di vita temporaneamente al di fuori della modernità, hanno permesso alla band di vivere il periodo di registrazione con un coinvolgimento totale, che permettesse di arricchire la loro musica con una forza e un contenuto pregni dei significati forniti dall’esperienza vissuta direttamente.
Contenuti espressi nella maniera estremamente evocativa tipica degli Eternal Tapestry, con estese jam sessions che coinvolgevano semplicemente chi fosse nei paraggi, con grande libertà espressiva e senza il vincolo di avere la line-up al completo.
Una settimana di ritiro, per realizzare una raccolta di otto fragole selvatiche, legate all’influenza dell’ambiente circostante la baita, nella complementarietà tra la vastità del cielo stellato e i fitti boschi, espresse musicalmente nell’incontro tra aperture sonore e dilatazioni droniche, con massicce e vibranti chitarre.
Nel loro amalgama di psichedelia e space-rock, le strutture sonore si sviluppano e diramano pazientemente con tempi dilatati, sfociando meno frequentemente negli “overdrive” che hanno caratterizzato altri lavori. Qui i ritmi sono più cadenzati, le atmosfere più sospese, e il suono rispetto al passato è maggiormente caratterizzato da soundscapes ambientali e tappeti dronico-cosmici, dove la sezione ritmica passa in secondo piano, come legame di fondo nella raccolta e collegamento tra gli slanci più corposi.
L’album è stato registrato su tape-machine, un registratore a cassette, che fornisce una consistenza particolare al suono oltre a completare in bellezza, con la ciliegina (o fragolina, battutaccia) sulla torta, questo processo per così dire di “antitesi” all’uso estremo della tecnologia, esemplificato dal rifiuto di registrare in un moderno studio ma optando per il buon vecchio fai-da-te. Prevale la volontà di tornare alle origini, recuperare il legame che si instaura tra la musica e il suo contesto di creazione, ritenendo che esso costituisca di riflesso un aspetto rilevante per il suono, avendo influenzato gli autori.
Andando brevemente sulle singole tracce, l’iniziale Mountain Primrose e la centrale Maidenhair Spleenwort fanno delle dilatazioni cosmiche la caratteristica principale, con vocals immerse nel dronico tappeto di synth.
La parte dove il disco entra nel vivo, dove figurano le sessioni più corpose e ritmicamente potenti, è costituita dalla title-track Wild Strawberries e Enchanter’s Nightshade, bellissime e ben strutturate, che si srotolano per più di un quarto d’ora a testa.
Da qui in avanti il ritmo passa in secondo piano, lasciando spazio al predominio alla parte ambientale con Lace Fern e Pale-Green Sedge. Infine troviamo il delirio conclusivo di White Adder’s Tongue.
Un lavoro veramente notevole che farà felici gli appassionati del genere; ma un ascolto che richiede pazienza, il lasciar andare la fretta di sentire il pezzo determinante, ed immergersi nel suono lasciandogli costruire le sue strutture e le sue divagazioni, lasciandogli il tempo di evocare le sue sensazioni.
Tracklist:
1. Mountain Primrose
2. Wild Strawberries
3. Enchanter’s Nightshade
4. Woodland Anemone
5. Maidenhair Spleenwort
6. Lace Fern
7. Pale-Green Sedge
8. White Adder’s Tongue
Line-up:
Jed Bindeman – batteria
Nick Bindeman – chitarra
Krag Likins – basso
Warren Lee – tastiere