A cavallo tra la fine degli anni ottanta e il decennio successivo, in una città del nord america, fino ad allora poco nominata nell’immaginario collettivo dell’american style, nacque quello che per molti viene considerato, a torto, il genere colpevole di aver ricacciato il metal nell’underground, dopo i fasti degli anni ottanta, il grunge.
Seattle fu , per un bel po’ di anni, la culla del rock alternativo mondiale, una scena che, a livello qualitativo, a mio parere, se la giocava con quella black metal scandinava (ma questa è un’altra storia) regalando al rock band e album che (all’epoca non lo sapevamo ancora) sarebbero diventati delle icone e pietre miliari della musica moderna.
Come in tutti i generi che hanno effettivamente cambiato, in un modo o nell’altro, la musica rock, anche il grunge ha lasciato eredi più o meno validi in giro per il mondo, che si vanno ad affiancare alle uscite delle band storiche ancora in attività (Pearl Jam, Dave Grohl, i redivivi Soundgarden) e quello che per i detrattori era un genere destinato a morire, continua invece a vivere, alimentato da ottime uscite e dalle commistioni che inevitabilmente ogni realtà immette nella propria musica, assecondando il background dei musicisti coinvolti.
Non sono pochi negli ultimi tempi i gruppi che, al sound di Seattle, aggiungono buoni spunti hard rock settantiani o divagazioni stoner, rock’n’roll ottantiano o spumeggiante punk rock, dando al genere nuova linfa ed un motivo in più per confermare l’importanza del rock americano nato tra le nebbie della città dello stato di Washington.
Pink Addiction, esordio omonimo di questo gruppo romagnolo, è un’altro ottimo lavoro che sul sound grungizzato pone le sue fondamenta, creando un album di rock alternativo contaminato con l’hard rock classico e stonerizzato dal suono di un basso grasso, pieno e dal buon groove.
Ma, alla fine quello che conta sono le canzoni e Pink Addiction, da questo punto di vista, centra il bersaglio, risultando una raccolta di ottimi brani, interpretati con passione e voce calda dal singer Marco Pellegrini che, senza scimmiottare colleghi più illustri, offre alle canzoni quel quid in più che ci riporta a prove canore presenti su album indimenticabili come “Ten” o “Temple Of The Dog”.
Il trittico iniziale composto da White Lands, Egdar Allan Poe e The Temple of Golden Spiders si rivela un perfetto esempio di rock americano con tutti i crismi, nonchè ideal biglietto da visita per il gruppo.
Inside My Pain ricorda, nel riff iniziale, gli Screaming Trees di “Sweet Oblivion”, ma i Pink Addiction band non si siedono sugli allori e dalla sesta song in poi (Until The Sun Goes Down) vira verso un sound che si riempe di hard rock e ritmiche moderne, con ballad che sanno di classico, così che la seconda parte risulta più varia, più alternativa rispetto all’impronta conferita alle prime canzoni; l’album così non può annoiare e, a suo modo, ci sorprende con accenni ai Foo Fighters nell’ottima Tonight, agli Alter Bridge in Someone To Lose, alla tradizione rock dello stivale (non solo per il cantato in lingua madre) in Schiavo Libero, e tenendo un occhio all’hard rock stradaiolo nella conclusiva Pretty Big Titty.
Band dalle ottime potenzialità, i Pink Addiction hanno creato un album composto da belle canzoni, forse manca un briciolo di personalità in più, ma siamo ai dettagli, sono due giorni che canticchio White Lands, qualcosa vorrà pur dire …
Tracklist:
01. White Lands
02. Egdar Allan Poe
03. The Temple of Golden Spiders
04. Sleeping With A Gun
05. Inside My Pain
06. Until The Sun Goes Down
07. Tonight
08. Someone To Lose
09. Schiavo Libero
10. Pretty Big Titty
Line-up:
Marco “Pelle” Pellegrini – Voce
Leonardo “Leo” Cursi – Chitarra e Cori
Damiano “Bamba” Galassi – Chitarra
Mauro “Pippo” Giulianelli – Basso
Filippo “Filo” Barbagli – Batteria