Quest’opera di Nescio è entrata, da pochi anni, a far parte delle dieci opere più belle della letteratura nederlandese.
Nescio, che in latino si traduce “Non so”, è lo pseudonimo di Jan Hendrik Frederik Grönich, lo scrittore che per la maggior parte della sua vita scelse di proporre le sue storie attraverso questo nome. Ad oggi, il suo nome fa parte del ristretto numero di autori olandesi che hanno contribuito a sviluppare la letteratura nederlandese. La scrittura di Nescio, infatti, seppur non pienamente accolta e compresa a suo tempo, negli anni ’60 e ’70 del Novecento ha ricevuto tutti gli apprezzamenti dovuti, conquistando grandissima fama.
In questo libro sono raccolti alcuni racconti, scritti in anni e momenti diversi della vita, che mal si accostavano alla mentalità borghese del suo tempo. In Storie di Amsterdam emerge evidente il conflitto interiore che distruggeva nel profondo l’animo di Nescio: il conflitto tra i suoi ideali innovativi e i dettami ideologici imposti dalla società moderna. Quel conflitto che ha accompagnato tutta la vita di Nescio, in bilico tra la piena approvazione della comunità distaccata dalla società, della quale l’autore fece esperienza diretta, e l’imposto ideale borghese della società in cui si trovava, volente o nolente, a vivere.
Anche i personaggi generati da Nescio rispecchiano pienamente questo conflitto: ognuno di loro dimostra un animo diviso tra la necessità di adattamento e il tentativo di sovvertire un sistema che non va più, che non va giù, che non è più adatto. Il momento era molto delicato, si stavano smuovendo molteplici acque, molte erano le persone che avvertivano questo stesso disagio, questa separazione interna, questa frattura estrema tra il sé e il mondo che ci fa da contorno.
Tutti i personaggi rispecchiano questi sentimenti, tutti sono bizzarri e fuori dall’ordinario, caratteri speciali e dotati di speciali caratteristiche. A partire da Bavink, il pittore, che non riesce a dipingere ciò che desidera. Le immagini che esistono nella sua mente non possono confluire in una tela, perché non appena il pennello si adagia su essa, Bavink inconsciamente si arrende alla realtà, comprendendo che essa non sarà mai soddisfacente, non potrà mai emulare la sua innata fantasia. E poi c’è Japi, lo scroccone, che scocca a chiunque tutto ciò che può, con una naturalezza disarmante, e che sostiene: “non so niente e non faccio niente. A dire la verità, faccio anche troppo. Sono occupato a morire.”
Parole e pensieri bizzarri, controcorrente, che presagiscono il punto di rottura di quella società borghese destinata a modificarsi, a evolversi. Una prosa che si discosta dallo stile corrente, che cerca di rispecchiare fedelmente i sentimenti di un autore in bilico, a mezza strada.
Storie di Amsterdam, storie profonde, storie di vita.