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Barbara Garlaschelli – Alice Nell’ombra

"Ci sono pensieri che hanno denti. E quando li pensi cominciano a mangiarti."

Barbara Garlaschelli – Alice Nell’ombra

La storia comincia in medias res, il lettore viene subito catapultato in una situazione di tensione narrata all’indicativo presente. Con il passato remoto si torna indietro e si delinea il quadro narrativo.

Alice è la figlia di Elena e Fabio, ma quando aveva dieci anni il padre è sparito dalla sua vita e così lei si è trovata ad affrontare il carattere spigoloso della madre. Elena è dura, tagliente, i pochi momenti di gentilezza giungono inaspettati, sono quasi destabilizzanti. Solo una cosa sembra farla stare bene: le lettere della sua cara amica Sofia, la confidente di una vita, quella che conobbe ancora bambina e che non l’abbandonò mai. Maxi è il figlio di Sofia, vivono insieme in una favolosa villa con parco attorno. Sarà questa la gabbia dorata di Alice, che per arrendersi al senso di colpa e ai feroci silenzi della madre si lascia rinchiudere in questa casa immensa, disponendo fiori di ogni tipo nelle stanze nella speranza di soffocare l’odore di muffa, rassegnandosi a essere un guscio vuoto, senza volontà né desideri. Finché non cambia qualcosa. C’è un salto temporale però. Come siamo arrivati a oggi, all’odore del sangue, al buio e alle urla del marito?
Alice nell’ombra si muove al ritmo cadenzato da una narrazione alternata. Il lettore segue il racconto in prima persona fra presente, flashback e riflessioni lapidarie. Da duecento bpm a sessanta, a zero nell’arco di poche pagine.
Prestissimo: Alice ha in mano un’accetta, si aggira furtiva per le stanze buie di una villa immensa, alla ricerca o in fuga dal suo carceriere, il marito, di cui vuole liberarsi. Ma scappando o uccidendolo?
Adagio: i ricordi della nostra protagonista vanno indietro, ripercorrono il passato e ci raccontano di un abbandono e del rapporto teso con la madre, incomprensione e senso di colpa. Il corpo è un premio e la rappresentazione falsa di un’interiorità sotterranea che non ha ancora trovato una ragione di essere, né una modalità di espressione. Il filo rosso che lega i personaggi si accorcia sempre di più, per recidersi di netto solo al termine del romanzo.
Pausa: parentesi fra flashback e presente, le riflessioni sulla vita, sulla paura, sulla dipendenza e sul parassitismo dell’amore (“Non sai come difenderti dall’amore. Ti blandisce, ti affascina e ti inchioda con la stessa ferocia dell’odio, ma senza speranza di redenzione”).
Alice nell’ombra è un romanzo da divorare. Bastano pochi secondi per farsi prendere da quest’alternanza, passando da rettilinei percorsi alla velocità della luce e dolci curve in modalità turista; ogni tanto ci si ferma allo stop e si osserva il paesaggio. Ma c’è un sottofondo musicale identico, in tutti i momenti della scrittura: l’angoscia e la rabbia della protagonista nel presente affiorano e pervadono anche l’indifferenza e la solitudine del passato, i brevi momenti di felicità restano parentesi quadre spigolose. La speranza è una comparsa che fa capolino a un certo punto e gioca a nascondino con il lettore.
Bastano pochi secondi per perdersi nel racconto e poche ore per terminarlo. Il ridotto numero dei personaggi, così come i pochi ambienti descritti, fanno sì che il romanzo assuma anche l’aspetto di una pièce teatrale. Ma le sensazioni e le emozioni sono molteplici e la scrittura che le esprime incredibilmente semplice. Il punto di vista della protagonista contamina ogni cosa, anche se in certi momenti si percepisce quasi un distacco di Alice dai suoi stessi ricordi; ma è la penna della Garlaschelli che si adatta al sentimento che vuole trasmettere. Lo spessore degli aggettivi si fa più evidente quando la piccola sente la mancanza del padre, o quando vive una nuova e inaspettata avventura. Il trasporto sparisce invece se è la piatta vita dell’abnegazione a essere rappresentata.
La costante della spirale di Alice è il silenzio, affogato nei libri. La giovane donna accetta di lasciarsi tutto alle spalle, di farsi rinchiudere in una vita che non le appartiene, leggendo e camminando tutto il giorno. Ma quale vita le apparterrebbe? Lei non lo sa, non l’ha ancora scoperto. È stata sempre accompagnata da cose non dette, sentimenti primitivi, freddi, come la rabbia, o dolorosi e per questo repressi, come la nostalgia. Ha trovato un diversivo solo nell’appagamento dei sensi. C’è rassegnazione nel racconto, ma in principio non sofferta, piuttosto ineluttabile.
La tensione rende godibile fino in fondo questo romanzo, già pubblicato nel 2012, riproposto l’anno scorso da Ottolibri e coccolato dalla mitica Tecla Dozio. L’ombra che oscura la vita di Alice, si allunga sul lettore; è così raro rassegnarsi a essere un involucro? “Si vive di sottrazioni. […] Alla fine ciò che resta è una montagna di cose che non ci sono mai state”. Tranquilli, il guscio può spezzarsi.

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