Ovviamente il palinsesto scorre al contrario, vista la nottata che ci ha avvolto sotto al Monte San Giorgio di Piossasco che sovrasta il cielo ottobrino del locale. La partenza non è stata del tutto improvvisata avendo saputo l’evento qualche settimana prima, in occasione del concerto dei Nibiru che già anticipava i fasti e vezzi che si sarebbero a breve susseguiti.
Il tempo di fare gas e scivolare tenui sulla morbida provinciale, non appena usciti dal fondo di Corso Giulio, quindi Settimo e a ritroso Orbassano, contemplando il cielo grigio e greve che avrebbe assunto a breve un blu oltraggioso, opposto al rosso cianotico che la serata avrebbe offerto. Tutte le sfumature dei sinonimi possono sembrare necessarie a creare folklore e mistero eppure a dire la verità una sacralità giustificata anticipava quella che in modo pagano avrebbe esecrato la notte di Samhain, sempre gratuita e libera da ogni congiunzione. Dunque … la discesa/ascesa che porta all’ingresso del Daevacian è un fermo deposito per autotrasporti che inquadra il magazzino. Un tavolino con lumini e ceri fa da lounge spot dove i fumi delle sigarette creano quell’attimo di attesa che danno ai Kynesis una buona mezzora per terminare la loro scaletta. Hanno suonato per il tempo necessario di entrare dalla magica porta, la cui struttura è collegata ad una chitarra Fender che suona un accordo di SOL maggiore una volta spinta la maniglia. Sarà quell’accordo procace che dopo aver pagato il biglietto porta dritto al bancone per un bicchiere di acqua gialla con bollicine, e nel frattempo in cui scende la tensione e ne sale altra, il via vai di gente è musicato da Redrum. Effettivamente … cosa manca tra una transizione e l’altra al momento dell’entrata è la similitudine del loco, per atmosfere al sottoscala di Jean Renault in Twin Peaks.
Bene … direi che sono arrivato in tempo per iniziare a godermi un concerto con il check dei veneti Necrosy. Due chitarre che interludiano il tempo morto portano altri spettatori al bagno, gli artisti nel backstage con cartoni pieni di pizza e parecchie altre persone al bancone a sgranocchiare free-pop-corn tra una birra e l’altra. Il vero concerto visivo è proprio questo: l’aggregazione che la musica può fare tra persone … scambiandosi tattiche schematiche tra orecchie impostate su diverse stazioni della stessa radio … ed è proprio questo il più bel tableaux vivant fuori dall’headbanging del live set.
La doppia cassa è pronta quanto lo sono i microfoni.. ed il basso di Pasqualetto gira su pulp mute, fingendo di trattenere tutto l’odio impervio ed ermetico inaccessibile per chiunque, tanto per me quanto per gli amici a seguito della band stessa. Truccati a modo, il body e Face painting è decisamente scabroso perché più che rami e fronde le braccia sono un richiamo a radici, molli e taglienti al contempo.
Ecco il Te-Deum col quale aprono i battenti con un accento su “Cristiano” che tenta e riesce ad emulare gli Urgehal di Raise the Symbols of Satan. Non male per dare il caldo benvenuto a noi torinesi, non meno polentoni della nostra controparte “east”.. Tengono duri gli animi per un’altra mezz’ora abbondante, forse quaranta minuti senza tregua, mentre nessuno sembra apprezzare a pieno l’immane sforzo che elucubra un infinito rancore verso il genere umano. Anche il pubblico reagisce freddamente, ma consenziente del ruolo impartitogli : freddo, distaccato e fermo, a mo’di statua per il genere che si appropria immobilizzandone le capacità di movimento. Il death ermetico e lineare in meno di un ora lascia una desolazione accentuata dalla totale mancanza della spazialità prog che in alcuni casi condisce meglio queste salse rudimentali. Ecco per chi non ha potuto esserci le atmo racchiuse e sigillate in questo disco intitolato Drown Into Perdition, fresco di quest’anno, dove i testi battono chiodo su tendenze suicide, ripensamenti e comportamenti abominevoli e post-umani.
Questa prima sessione è comunque andata bene, meglio del dovuto anche per chi a breve arriverà a detenere il podio (o meglio l’etimasia). I rumori e gli stessi spostamenti precedenti inter-cambiano il palco mentre l’aria si purifica per un attimo con un profumo di dolce incenso, chiudendo gli occhi si coglie la fantasia di reggere in mano una birra all’interno di una chiesa. Il check per i Mortuary Drape non è esaustivo. Qualche colpo di cassa e prova microfono sono sufficienti a dare il tempo di pluggare le chitarre agli amplificatori che risuonano detonate e corpose, cambiando immediatamente il gioco illuminotecnico. Un rosso sfacciato, perverso e segreto tinge chiunque di sangue, esaltando l’eccitazione quasi orgiastica che distanzia l’inizio della scaletta di pochi minuti, tangibili. Spiritual Indipendence ammonisce la calca che si è creata , traendo spunto per aprire i battenti da The Hiss, ottimo intro prolungato e Lithany , sorelle di ventura per rodare gli animi oramai galleggianti. Ottimo scocco per ravvivare la lacca che si era dovutamente persa durante le prime due performances e ora traboccante di schiuma che sferza durante i cori.
Obsessed by Necromacy e l’omonima Mortuary Drape, riprendono assieme a Tregenda la vena ben più rituale e famelica, per fare completamente sciogliere il pubblico auditore, meno pagano e molto più contento di lasciarsi smuovere dal live stage più danzereccio e frontale. Inizia una pioggia di madonne finalmente dovuta alle nubi che intanto l’incenso ha disperso nell’aria calda e rossa . I colpi di Deep Void aiutano a intercalare la scenografia in un vertigo di luci completamente pazze, ravvivate da un blu elettrico e profondo che rallegra dopo i primi 30 minuti la seconda partita , ben più violenta e psichedelica. Una cosa che noto a luci spente e candele accese sono le mani carismatiche e grosse di WP che dipingendo i più barocchi versi continuano con sommo movimento ad inveire contro tutti noi, provando a dirigere un orchestra di urla … e funziona proprio con All the witches dances dove le vibrazioni di un centinaio di voci invocano a tono il supremo: “Solve et Coagula ! “
L’Encore termina in (dis)grazia ricevuta con un felice tris: Immutable Witness, Cycle of Horror e Abbòt che regalano a tutti l’attacco finale, trionfante e glorioso senza affatto segmentare i piccoli tempi di prassi nell’attesa tra un brano e l’altro.
Ora soltanto posso dire “fine primo round”, immaginando se tutto questo primo unico blocco deve valere per contenuto e forma ai Forgotten Tomb. La risposta già la so, ma mi piace titubare per qualche breve tempo morto sulla continuazione … finalmente dopo quasi due ore telluriche sta arrivando una luce blu elettrica, fredda e desolante portatrice di doom con redini prog e black depressive. I piacentini che sempre piacciono ai torinesi, entrano in gran sfarzo pronti a regalare 40 minuti di desolazione, che pacata e godibile trasmette solo più ascolto diretto tra pubblico e palco. Love’s Burial Ground apre la scaletta, mentre tutto sembra davvero cambiare rispetto a qualche minuto fa in cui il set era decisamente punk in confronto, sia per attitudine che per immagine: tutto il lavoro compiuto dai colleghi dal drappo, evapora … mentre il pubblico prova una sensazione di isolamento e disgregazione. Con un po’di fantasia , in alcuni stacchi mi pare di sentire l’eco degli Aborym, grazie alla chitarra solista che scandaglia fughe eccelse mentre in altri momenti l’atmosfera spinge in corde ben più romantiche (Hurt Yourself And The Ones You Love) .Il groove risente di malinconia e malignità mentre le luci diventano si cupe e profonde da suggellare qualche brano da Springtime Depression, a fedeltà di tutti.
A metà set, cedo per dissonanza contrastata delle mie orecchie lo spazio ad un flusso di ascoltatori finora rimasti tra bar e bagno e mi dileguo come fossi un intruso a fine film. Nullyfing tomorrow la soundtrack che segue l’eco di Herr Morbid ai miei passi che mi riportano alla quiete della macchina, pronta a riportarmi indietro.