Terzo album per questo trio di Melbourne che porta l’ascoltatore in profondità, continuando un discorso che gli Hyopnos 69 avevano iniziato tempo fa.
Dissolvenze, ritorni e lunghe cavalcate per un disco che si può benissimo definire di psichedelia pesante. Gli elementi che fanno viaggiare i nostri sensi ci sono tutti. GlI Ahkmed suonano al ritmo della natura, facendo i giri come la nostra terra, e dando sfogo alle loro emozioni. L’essere un trio non è affatto uno svantaggio, anzi è un notevole punto a loro favore. La chitarra disegna motivi che si incontrano con un basso pulsante e con una batteria che gira senza sosta, melodie si aprono, è tutto molto bello e semplice se ascoltato con il giusto orecchio. La Elektrohasch ci ha abituato a dischi che sono in realtà veri e propri trip, ma questo è un compendio di tutto ciò che è stata e sarà la psichedelia moderna, con una fortissima connotazione ambient, che aggiunge un notevole tocco al tutto. Ci sono momenti di assoluta meravigli, ci si sente totalmente slegati dalla realtà, in un lento ascendere verso il cielo, sia esso blu di giorno o nero di notte. The Inland Sea ci parla, scava dentro il nostro cervello per arrivare al cuore, indurito dalla palate di merda che ci arrivano quotidianamente. La musica fisicamente è un insieme di onde che entrano dentro le nostre orecchie, e ci fanno provare emozioni, poi ci sono musiche superiori come questa, che fa vibrare qualcosa al nostro interno.
Certamente dentro a dischi come questo c’è tantissimo dei Pink Floyd, perché un certo discorso l’hanno iniziato loro, ma la vera psichedelia l’hanno poi abbandonata, e gruppi come gli Ahkmed hanno continuato a scrutare dentro la luce, e a portarne via dei raggi.
Un disco di grande dolcezza eppure di grande potenza, un traino verso l’infinito, che sta dentro e fuori di noi.
TRACKLIST
01 – Kaleidoscope
02 – The Inland Sea
03 – Last Hour of Light
04 – Pattern of Atolls
05 – The Empty Quarter