Il primo lavoro delle HOUSE OF TARTS, duo femminile di base a Venezia, veneziane proprio come le outsiders Amavo, ci propone undici coriandoli sonori che possiedono un discreto fascino, per nulla borghese. Il colore, la sfumatura, certe evasioni vocali ed elettroniche, piacciono molto; le ragazze sono dedite a trame lente, studiate in modo da essere recepite in assenza di clangori ad effetto tipici di superproduzioni stellari da rockstar (ovvio, è il mondo del DIY!); la genuinità e fruibilità del lavoro, secondo me, risiede proprio nel definire ogni singolo brano tinteggiandolo in modo semplice con vernici speciali scelte accuratamente, al fine di creare un mood che risulti, nell’opera complessiva, in controtendenza alla moltitudine di generi pop, persino a quello folk che forse è il più delineato, costituendo un corpus certosino e verace, quasi naif, pervaso di e-pop + art-punk di fine seventies.
Per cui se c’è del dark, è seriamente dark, il pop è vero pop, il punk vuole descrivere un esatto punk, l’elettronica ci rimanda ad un genere ben preciso e quel dato effetto, o strumento, posto in evidenza, circoscrive ineccepibilmente quel dannato mood, che è giusto quello – e sarà anche quello giusto, se lo ascoltaste!
Le armonie vocali invece si prestano ad un gioco non solo divertente ma anche sensibile nel generare emozioni; esse, puntualmente puntellate, realmente proiettano sentore artistico.
I 35 minuti del disco omonimo sono una forzuta promessa per la musica del duo, infatti con poche chiacchiere sembra vogliano inoltrarsi nel profondo delle loro idee musicali, sviando inutili complessità e facilonerie modaiole, connotando, tratto fondamentale, pur nella economicità dei mezzi, una variegata franchezza musicale che riverbera nell’animo a fine ascolto.
E così “Yellow line” racconta il dark pop di matrice punk: prese nel vortice, le voci risaltano e affievoliscono una violenza contenuta e compressa.
“Glimmering beauty”. Affascinante il gioco di sponde tra voci e tastiere, giunge etereo l’afflato sonoro.
“Magicake”. Il rimbalzante soffice basso e lo zigzagare della tastiera offrono alla voce il telo su cui tuffarsi in costume orientale.
“A day as Anubi”. Molto meglio connotato del precedente episodio, strizzando l’occhio alla musica da cabaret, ne esce fuori un numero suggestivo in stile rétro, la voce ad abbellirne gli esterni. Ottimo poi il passaggio interno di “Intermezzo”, fine schizzo pianistico disegnato a china.
“Japanese lover” è entusiastico pezzo tra la Siouxsie dei primi album e la techno-house velocity!
“My lullaby” coinvolge ipnotico, elettronico: ninnananna da cinematografo horror.
“Bloodriver” è il pezzo più fico, in odor di ballata, segue in certo senso il formato classico della canzone, cadenzata, dark, resa misteriosa dal cantato che sul finale esibisce un tocco di classe.
Take me back to the freaks. Il pop è più evidente e giocoso, il synth in sottofondo fornisce alla voce il tappeto su cui elevarsi; suona come un pezzo anni ottanta, incluso il martellante piano r’n’r. Un pezzo che avrebbe potuto dire molto di più; si spera in un nuovo arrangiamento futuro.
UpJohn50. I germi della sperimentazione sembrano aggredire meglio la creatività e anche la cantante è più ficcante rispetto alle altre tracks.
Pearl. Ispirata song finale, folk notturno, suggestiva ad opera della voce che ne amplia i confini e la ricama di pura delizia.
TRACKLIST
1. The yellow line 02:14
2. Glimmering beauty 03:47
3. Magicake 04:26
4. A day as Anubi 02:41
5. Intermezzo 01:23
6. 日本の恋人 (Japanese Lover) 03:35
7. My lullaby 03:13
8. Bloodriver 02:48
9. Take me back to the freaks 04:17
10. UpJohn50 04:46
11. Pearl 02:27
LINE-UP
Laura Martelli – voce, tastiera
Valentina Salvatori – basso, synth
VOTO
7,70
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