Il nido
Racconto di Nicola Cudemo
I cipressi sono una fila scomposta di turgidi cazzi che eiaculano resina e mosche nell’ambra. Le palme nel piazzale di dietro si lavorano il cielo basso con dita frenetiche. I crepuscolari, ingannati dall’ombra, hanno dato il consenso ai pochi lampioni che formano globi giallastri nei cespugli di corbezzolo inselvatichito.
Ho fermato l’auto sul ghiaione, e sono sceso a prendere lo SPAS 15 dal bagagliaio. Entro nella hall del centro commerciale abbandonato, e scendo nei seminterrati. Sono qui per disinfestare un nido di Discepoli.
Il Dipartimento ha ritrovato tre Usa&Getta in una discarica del quartiere delle Cliniche. I fottuti vampiri prendono un po’ troppo sul serio l’espressione : “Ti fotto il cervello.” Impiantano una vagina nella nuca di qualche povero/a stronzo/a (Non hanno preferenze, dicono che il cervello è asessuato.) Saturano tutta la superficie della vagina posticcia di terminazioni nervose, collegano tutte le terminazioni con i centri del piacere.
Fottono piano piano, dolcemente, penetrano di pochi centimetri, fanno impazzire di piacere il vuoto a perdere, con il loro cazzo nero e bitorzoluto come un ovodepositore, che emette scariche bluastre di corrente ad alto voltaggio e bassissimo amperaggio. Quando il vuoto a perdere è azzerato dalle ondate di piacere che gli bruciano il cervello, danno un’ultima spinta brutale, sfondano la tenera membrana che dà l’accesso al cervello e penetrano nel cranio, depositando il loro sperma giallastro fra la pappa grigio rosa delle circonvoluzioni distrutte.
Mi accendo un Montecristo, bevo un sorso dalla fiasca. Faccio con comodo. Tanto a quest’ora loro sono in stand-by, interfacciati con le macchine nelle Cabine della Vita. Penso a quanto mi divertirò con il Capobranco. Sono bellissimi/e. Corpi perfetti, volti angelici, senza tempo, seni pesanti attraversati da sentieri bluastri di vene. L’astuccio penico sul monte di venere, che si apre per far spuntare il loro cazzo gocciolante.
Farò il mio giochetto. Lo chiamo : “Buca il palloncino”. Li metto in croce con del cavo in fibra monomolecolare che reggerebbe anche la luna, se decidesse di voler penzolare da qualche altra parte. Li sodomizzo con il grosso silenziatore dello SPAS, che non è facile, dato il diametro del tubo. Osservo affascinato le file di aculei ossei protrusi dal loro ano e dalla loro vagina, che graffiano il metallo del silenziatore. Tiro il grilletto, La carica a pallettoni delle calibro 12 supercorazzate li fa letteralmente esplodere, lasciando i loro brandelli a penzolare dai cavi.
Spengo il mozzicone del sigaro sotto il tacco. Meglio sbrigarsi. Dai corridoi allagati viene il frullare delle ali degli psicopompi. Andiamo a divertirci.