Confesso di non aver mai letto un libro di Douglas Adams. No, neanche il suo famosissimo Guida galattica per autostoppisti, di cui ho visto il film e mi sono pentito amaramente. Confesso anche di avere un certo pregiudizio nei confronti della letteratura umoristica e divertente in generale; sì, lo so, sono un musone e mi piacciono le storie da musoni, questo sicuramente è vero. Tuttavia i miei preconcetti non mi hanno impedito di godere del bel romanzo di Andrea Coco edito lo scorso novembre da Scatole Parlanti, per la quale ho già recensito l’ottima prova di Fabio Carta, e prima che qualcuno gridi allo scandalo, prometto solennemente di recuperare le mie lacune sul compianto Adams.
Nel suo Spacefood, Coco parte da un pretesto semplice e quotidiano, quello del cibo, per raccontare vicende ambientate in un mondo futuristico, in cui si ritrovano tutti i cliché della fantascienza, dai viaggi interstellari, ai robot, alle intelligenze artificiali, fino ad arrivare alle mutazioni e alla telepatia. Aner Sims è un critico gastronomico, uno di quelli che oggi scriverebbe sulle riviste specializzate come Gambero Rosso e affini (sono tanto poco esperto di fantascienza umoristica quanto di gastronomia!), e che nel mondo descritto dall’autore viaggia per il cosmo per realizzare recensioni sui ristoranti più incredibili.
Durante il prologo, l’inviato speciale culinario, incontra tutti i comprimari con cui si troverà poi a vivere delle vere e proprie avventure al confine tra il grottesco e il fantasmagorico: la sua quasi-fidanzata Scilla, l’arci-poliziotto Augusto “Rock” Parboni, che soffre di un piccolissimo disturbo della personalità che lo porta a trasformarsi in Sun il distruttore una volta sì e l’altra pure (senza dubbio il personaggio più divertente e meglio definito del romanzo), l’innominabile robot cameriere Arocle e altri. Con loro, Aner dovrà superare alcune prove dialettiche, fuggire da ristoranti (e universi) in pieno collasso, ritrovare ristoratori sperduti nel cosmo.
Il romanzo è ben scritto, di scorrevole lettura e davvero divertente. L’autore fa uso di gag senza che queste riducano il tutto al comico, anzi è nel complesso pungente e intelligente e ha il pregio non comune di coinvolgere il lettore con l’arma dell’umorismo. La narrazione è piena di riferimenti al fandom, a libri, serie TV, film della fantascienza, senza che questi siano troppo espliciti: il lettore sente il richiamo a qualcosa che ha già letto, o guardato, ne capisce la presa in giro e si fa una risata.
Da questo punto di vista ho trovato il romanzo leggermente, e squisitamente, post-moderno. Ho avvertito un po’ la presenza di Calvino, quello delle Cosmicomiche, anche se nella pagina dei Ringraziamenti è proprio l’autore a definire la sua fonte di ispirazione: Achille Campanile, considerato da Coco, e non solo da lui, “il più grande umorista che l’Italia abbia avuto nel corso del Novecento”. Ancora una vola la mia onestà intellettuale mi porta ad ammettere di non conoscere a fondo questo autore, ma è sempre bello trovare all’interno dei libri che si leggono suggerimenti per letture future.
Un altro aspetto pregevole del romanzo, questa volta sì da persona dell’ambiente, è quello musicale. Il jazz rock e il progressive anni ‘70 fanno da sottotrama a tutta l’opera, tra band che si esibiscono in cover dei pezzi di Pink Floyd, Zappa, classici del jazz e addirittura Sun Ra. Per quanto non esca pazzo per i Pink Floyd, ma come amante dell’avant-rock e del jazz, non ho potuto non apprezzare i riferimenti espliciti a questa cultura, e mi sono addirittura chiesto se Coco non abbia in cantiere un romanzo che abbia come fulcro centrale non il cibo, ma un certo tipo di musica.
Un’ottima prova anche questa di Coco, divertente ma anche intelligente nella sua goliardia e sperimentazione linguistica e narrativa, che ci porta a sorridere di un genere spesso troppo serio nei suoi cliché e considerato a volte inconsciamente, da me per primo, intoccabile e austero.