Un ragazzo della Milano anni 2000 aspetta con ansia la pubblicazione del suo primo libro. Si sente figo, crede di essere il nuovo Céline, veste alla moda. Vive in un appartamento in zona Isola, foraggiato dagli assegni del padre, tra serate con gli amici in locali in della movida meneghina, approcci sessuali casuali, musica a palla profferta da deejay che assurgono a idoli grotteschi dello status symbol godereccio, tra alcol, pasticche e modern slang declamato a raffica: bad moterfucker, funky monkey junkie, rockmania, che sono come mantra ossessivi all’interno di un linguaggio che diventa rito di appartenenza.
Il giovane scrittore aspetta un ultimo contatto con il direttore della casa editrice Basquiat con cui ha firmato il contratto di pubblicazione, ma questo tarda a venire, gli hanno detto che il suo libro Autodafé X dovrà uscire entro un paio di mesi, ha anche elargito un bel gruzzolo per farsi accettare il manoscritto, e tutta la faccenda diventa sempre più un’ossessione surreale, nell’attesa spasmodica di divenire a tutti gli effetti il nuovo autore maledetto, nella sua idea omologata ed effimera del successo, che lo consuma ogni giorno sempre di più, rischiando definitivamente di destrutturare la sua coscienza, di farlo effettivamente svanire.
Paolo Gamerro ci racconta dell’apocalisse moderna dell’apparenza.
È un nichilismo sottile, direi pop nell’accezione più nobile del termine, quello che impregna tutta la storia. Humor all’acido fenico mantecato con cinismo corrosivo che ci disvela con non-chalance l’orrore della post-modernità degli istinti edificato in quei dogmi traballanti che sono social-network, TV, pseudo-acculturamento, sesso fellatio-centrico, locali di tendenza, vestiti alla moda.
L’apparenza la fa da padrona in questa Milano da nuovo millennio inoltrato, Milano che assurge a un simbolo culturale della ricerca della felicità take-away, ma che potrebbe essere Roma o Shangay, o Città del Messico, talmente i gusti e i trand sono globalizzati, come il marchio McDonald o gli occhiali di Gucci.
L’apparenza è tutto, i like su Facebook sono il carburante di un ego da ingrassare di continuo, insieme alle foto su Instagram, ai #vaffanculo a caso su Twitter, ai discorsi esclusivi su film d’autore o musica del momento. Se non “ci sei” non “sei”. Un continuo derapamento nella curva parabolica dell’effimero.
È straordinaria la facilità con cui questo libro riesce ad inquadrare questo spicchio di società moderna, che collassa su se stessa, che vive cannibalizzandosi.
Sbiadire è un romanzo breve ma pieno di polpa, di facile lettura perché la narrazione è intelligentemente dosata per non stancare; libro ironico e drammatico nello stesso momento, interessante, un j’accuse che parte da dentro, perché forse ognuno di noi leggendolo si sentirà anche solo per un momento come il protagonista, accomunato dalle stesse voglie, comandato dalle identiche pulsioni.
Dunque un libro da leggere perché riesce a unire il romanzo di intrattenimento con una critica efficace allo stile di vita che sta sostituendo le emozioni con dei fac-simile da società di consumo.
Edito da Augh! Edizioni, uscito nell’aprile 2017, ci fa scoprire un autore che possiamo a tutti gli effetti annoverare tra le più stimolanti e originali voci nuove della narrativa attuale, sul pezzo e senza cadere in intellettualismi, come non è facile trovare nello sterminato panorama letterario italiano.