IL PIANETA ROSSO
di Bob Accio
Per quanti di voi si chiederanno se è mai esistito un pianeta rosso, proverò a rispondere con questo breve racconto, che vuol essere testimonianza di ciò che ho vissuto e veduto.
Ma la vista e i sensi umani possono essere ingannati da artifici secondo i quali un’esperienza vissuta potrebbe essere indotta o sognata. Un’unica testimonianza non costituisce alcuna prova ma nemmeno la esclude per certo: comunque, io non fui solo.
La prosperità del nostro ricco regno di Babilonia nella fertile terra di Mesopotamia ci permise di poter incrementare le arti e le scienze, così fui avviato giovanissimo allo studio della scienza e dell’astronomia, dilettandomi anche di astrologia: succhiavo vorace i segreti che il campo stellare prodigo di luminescenze trasmetteva agli umani.
Il mio studio, e dei miei compagni illustri, colleghi di questa storia, si basava soprattutto sull’osservazione dello spazio stellato, ove congetture, misurazioni, differenze stagionali, consentivano il rilevare ed il registrare i minuti cambiamenti che riuscivamo a valutare ad occhio nudo, servendoci pure di strumenti astronomici in voga al tempo.
Ordinando la costruzione della torre in Babele, fummo posti quanto più prossimi ad interfacciarci con le altezze siderali, onde scrutare meglio, con gli occhi, le stelle.
Su tale torre stazionavamo per anni – qualcuno ci trascorse persino la vita – quindi, per forza di cose, ai piani poco sottostanti il vertice venivano stoccati generi alimentari e bevande per farci campare nel lungo periodo; dotati di una piccola corte di servitori non ci mancavano varie comodità e l’aria, seppur rarefatta, era un toccasana che tonificava il sangue.
I giorni scorrevano tra discussioni, argomentazioni, confronti ed erano intervallati da silenzi lunghissimi, giacché il tempo era assorbito totalmente dallo studio dei corpuscoli lucenti, cui seguivano naturalmente periodi di pause e di riposi atti a ricaricare l’attenzione e la salute.
La luna appariva meravigliosamente immensa e all’alba d’essa il suo rossore incuteva terrore. Pareva inglobarci e pur rimaneva distante e magnifica, impallidendo, sino a scomparire, mano a mano che descriveva il suo arco notturno. Emanava una luminosità intensissima, tanto che non si aveva alcun bisogno di torce per l’illuminazione.
Quale meraviglia del cosmo imperscrutabile!
Naturalmente ci chiedevamo il perché di quel rossore ed arrivammo a capire che in certe particolari ore, durante la stagione x e y, il sole baciava coi suoi ultimi raggi la luna conferendole tale colorazione.
La luna probabilmente non aveva un colore specifico appassionante come il rosso descritto, noi la pensavamo come la vedevamo, bianca, e ci mostrava perpetuamente la stessa faccia, come da rilevazioni annose.
Nessuno sino ad ora ha scoperto un pianeta rosso come la luna che ci venne incontro, ammesso che ce ne sia uno, ma da questa vertiginosa altezza il colore non ha più alcuna importanza, ciò che rimane distintiva è la prospettiva sul mondo, sulle cose che appartengono alla sfera del quotidiano, da cui noi siamo esonerati in quanto, per vocazione, eletti appassionati astronomi.
Qua sopra la calma e la quiete, la forma di socialità e la comune intenzione di scoprire mondi e fenomeni nuovi ci ha reso fratelli inseparabili e le molte differenze di casta in rapporto alla servitù son crollate col tempo; grazie alla frequentazione ci sentiamo amici, fortunati di abitare nelle alture del mondo, soffrendo pochissimo la lontananza dai nostri simili abitanti le pianure.
Da qui si possono toccare le nuvole con le mani e i tramonti, quando il cielo è limpido, sono annichilenti per bellezza e poesia; per ora, l’unica cosa davvero importante che abbiamo scoperto è questa, una legge che ci è molto comoda per scovare pioggia e correre ai ripari, seppur non sempre esatta: rosso di sera, bel tempo si spera.
work is Raul Ortega Ayala’s Babel Fat Tower
original Photo Sylvain Deleu