Cosa ci facessi io da solo a Fermo lo scorso febbraio me lo chiedo ancora, coincidenze e scelte non tanto felici che uno fa nella vita. Ma l’esito lo scopri sempre dopo. Path invece quella sera era là di passaggio, in compagnia della sua chitarra a cantare, sull’ennesimo palco poco e male illuminato di un Centro Sociale, le sue storie malinconiche, vere e perciò quasi sempre senza lieto fine.
Parlammo di Gil Scott-Heron, di Billy Bragg, di lavoro, di Bruce Springsteen, di progetti, di letture, di Nina Simone, di treni, di Roma, del punk, di dub poetry e di Paul Weller. Retroterra ed immaginario comune, maturato e vissuto a centinaia di chilometri di distanza. Era una sera molto fredda e la mani di Path tremavano congelandosi mentre mi faceva ascoltare dal telefonino i nuovi pezzi che aveva registrato con la sua nuova band, i Collatino Goddam.
E’ passato qualche mese e per un’altra serie di coincidenze, scelte ed imprevisti io sono tornato down-home, nella mia provincia a Sud del Sud dei Santi. Path, invece, non si è mai schiodato dalle strade della sua Anguillara Sabazia, alla periferia dell’Impero Romano, ed ha pubblicato quei pezzi nel nuovo album.
“Cinema” è il titolo, ma, mentre scorrono i brani, capisci che è soprattutto l’idea programmatica e l’anima del lavoro: registrare su nastro “la vita così com’è”, propria e altrui solo in quanto inquadrata dai propri occhi, senza giudicarla, senza giustificarla o biasimarla.
Ogni brano di “Cinema” è una prospettiva diversa su un unico soggetto: un’umanità anonima e brulicante, in decadenza, che reitera se stessa ma non si pone domande, che sopravvive al proprio marcire quotidiano.
I dettagli di ciascuna scena sono curati in maniera quasi maniacale. La penna, la voce ed anche, come dicevo, lo sguardo di Path sono maturati in maniera sorprendente ed i Collatino Goddam –gran combo- impastano e spingono un groove carico di bassi, di fango e polvere. Ritmo e blues, ispirazione. E l’orecchio e la mente mi vanno, scena dopo scena, a Billy Bragg, a Bruce Springsteen, ai Redskins, a Paul Weller, alla sensibilità di Lucio Dalla e Ivan Graziani.
Una dopo l’altra, le dieci scene che compongono “Cinema” scorrono, crudeli e reali, ma sono quanto di più lontano dal manierismo, dal romanticismo d’accatto e dalla retorica stradaiola di certo cantautorame pop, impegnato e non. “Quello che inseguo di giorno mi tormenta la notte”.
Path non elargisce sorrisi in questi brani, il suo viso è quello inquieto cui ci ha abituato; il sole non splende dolce sopra i protagonisti dei brani, ma è la sferza dei 40 gradi a straziare i manovali al lavoro o la pioggia ad incupire nottate insonni; Roma non è la Dolce Vita ma neanche San Lorenzo ed i pub: è la provincia, i palazzoni anonimi, la 167, i bar coi tavolini di plastica rossa marchiati Peroni e la disoccupazione.
“Ho perso un occhio che ero bambino, ne ho pure un altro, sta lì vicino, mi serve per vedere, non l’avranno mai”.
Il Neorealismo, Pasolini. Persino Carmelo Bene.
“Io non ho più speranze, dunque non ho più paura”.
Claudio Caligari e Sergio Leone con i loro antieroi. Ed, evidentissimi tra le influenze letterarie, Jack London e John Fante.
Un lavoro prezioso, toccante a tratti, figlio cosciente della classe operaia. Ed a sua volta padre.
Ancora un passo in avanti per Path, voce ruvida ma tra le più sensibili e attente all’interno della scena cantautoriale italiana.
Track List
01 Lakon
02 Piccola storia del mondo
03 Scatole vuote
04 Tutta la notte
05 Indagine 167
06 Senti a me
07 Day city rider
08 In trappola
09 Notte bianca a Roma Est
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