APRILE DUEMILAVENTI
“FEAR, EMPTINESS, DESPAIR”
Come tutto ciò che mi riguarda anche “Confessioni di una maschera” risente pesantemente di quello che stiamo vivendo. Sarebbe impensabile fare finta di niente e mettersi a scrivere in assoluta e distaccata tranquillità. Ogni mio gesto, ogni mio pensiero, ogni disco che decido di ascoltare porta con sé il peso di questa drammatica situazione. Mi riesce impossibile isolarmi al punto di riuscire a pensare in modo del tutto autonomo ma soprattutto sgombro da condizionamenti.
E’ proprio in un momento come questo che credo che la musica acquisti ancora maggiore significato, certo come sono da sempre che nelle difficoltà siano proprio le menti più indipendenti, più sensibili, in un certo senso “più elevate” quelle che alla distanza emergono trascinandosi dietro il resto. E visto che sono anche convinto del fatto che la musica senza il suo elemento di rottura sia del tutto priva di ogni sua velleità [escluse le vanità da copertina patinata cui puntano i più deboli] mai come oggi mi sento di dover ribadire il mio “siate ciò che volete e non ciò che gli altri vogliono che siate e diventiate”.
Quello che può sembrare una via di mezzo tra un versetto biblico e un mantra della peggior new age postmoderna è in realtà quello che spesso penso quando apro la mail di Toten Schwan per ascoltare gli album che mi mandano e quando apro i link che vedo postati online sui vari social network. Detto che ci metto del mio nel momento in cui inizio ad ascoltare un album con la speranza di trovarmi davanti alla “nex big thing” e che un pò me la cerco, mi sembra però che siamo in una fase di appiattimento da un punto di vista qualitativo.
Una cosa ci tengo a precisare. Non voglio scoprire il disco dell’anno per poterlo produrre. Non è questo il senso del mio discorso. Io sono prima di tutto un amante della musica e di conseguenza un ascoltatore. Il piacere di godere di un album che ti tenga incollato al divano mentre ti suona il cellulare e ti maledici per non averlo spento prima di aver iniziato ad ascoltare il disco è un qualcosa che supera ed anniente qualunque velleità produttiva. Un disco coi controcazzi è prima di tutto un disco coi controcazzi e solo secondariamente mi interessa sapere chi lo ha prodotto. Prima ne godo e poi mi documento.
Detto questo possiamo leggere il “mantra” di cui sopra in questo modo: “fate i dischi senza paura del giudizio altrui, anche a rischio di non piacere”.
L’idea che un musicista lasci fluire la propria creatività, dando spazio e libertà alla propria personalità, alla propria spontaneità non deve intimorire e quindi frenare. Abbiate quindi il coraggio e l’ardore di fare dischi che abbiano una loro identità, anche scomoda, ma che siano mossi da quell’onestà intellettuale che riscontro sempre più di rado. Fate dischi che lascino intravedere la voglia di spogliarsi del superfluo, che vi permettano di uscire da quel circolo vizioso in cui ci diciamo a vicenda quanto siamo belli e bravi, in cui non ci si può permettere di criticare nessuno [e anche se lo pensiamo non lo diciamo perché non sta bene], in cui tutti quanti noi facciamo dischi bellissimi [che poi non ci compriamo a vicenda aspettando che qualcuno ce li regali]. Smettiamo di farci i pompini a vicenda come diceva mr. Wolf e prendiamoci lo spazio perchè ce lo meritiamo e non perché ce lo concedono di diritto nel momento in cui iniziamo a far parte di quell’elitè similmassonica che decide che cosa sia meritevole e che cosa non lo sia.
In questi giorni in cui siete tutti impegnati a guardare “La casa di carta” e che discutete su “mascherine sì mascherine no” ricordatevi che prima o poi i nodi vengono al pettine e il tempo smaschera tutti, basta solo aspettare. Mai come oggi sono convinto che l’onesta paghi. Sempre. Alla lunga, ma paga. Basta saper aspettare.
Per cui lasciate stare chi si crogiola nel facile consenso e andate oltre. Osate e sarete ricompensati. Non da me che non conto un cazzo ma dalla storia e dalla vostra coscienza. Il domani è vostro, prendetevelo.