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Recensione : Katatonia City Burials Nuclear Blast 2020

KATATONIA "CITY BURIALS" NUCLEAR BLAST 2020: Anno davvero strano questo duemilaventi per quello che riguarda le uscite musicali.

KATATONIA

Anno davvero strano questo duemilaventi per quello che riguarda le uscite musicali. In un mondo che ancora non ha capito se può ancora continuare a considerare il tempo con la stessa valenza di sempre, sono arrivati tre dischi che hanno dato una scossa ad un ambiente che sta cercando di capire che fine potrà fare.

Dei My Dying Bride abbiamo detto (anche se non ci stancheremo mai di dire), i Paradise Lost saranno probabilmente il prossimo acquisto da qui a breve.

Non resta quindi che dare uno sguardo approfondito al nuovo album dei Katatonia, l’undicesimo cronologicamente parlando, che la Peaceville ha appena stampato, a quattro anni esatti dal precendente “The Fall of Hearts”.

Per quello che mi riguarda l’attesa non era (e non poteva essere) pari a quella per il ritorno dei My Dying Bride. Il mio legame intimista con il gruppo britannico è qualcosa che non trova rivali in ambito musicale. Sta di fatto che mi sono avvicinato a questo nuovo Katatonia più con curiosità che con entusiasmo ed impazienza.

Ma mi sono dovuto immediatamente ricredere. “City Burials” è infatti un disco dalle potenzialità infinite.

Nonostante i miei ripetuti ascolti, ogni volta scovo quel dettaglio nascosto che me lo fa amare ulteriormente e mi lega ulteriormente a quell’iniziale e spiazzante sentimento di disorientamento che ho provato non appena l’ho scartato e messo sul piatto.

Non faccio fatica a confessare che da quando ho preso il doppio vinile cerco di sbrigare al più presto ogni tipo di incombenza per potermi dedicare all’ascolto con tutta l’attenzione e la dedizione possibili, lasciando a prendere polvere gli altri dischi che si accumulano quotidianamente sulla scrivania.

Dei Katatonia si parla da sempre. Non sempre in termini entusiasti come quelli che state leggendo. C’è un’eterna diatriba in atto che pare non trovare soluzione. Sono anni che si discute su cosa siano diventati i Katatonia e se fossero meglio i primi due dischi quando l’anima metal più oltranzista era decisamente più manifesta.

Inevitabile quindi che anche noi ci si ritrovi davanti ad una scelta dicotomica, del tutto concettuale: siamo di fronte al nuovo corso dei Katatonia, all’ennesima incarnazione inattesa che spiazza e ribalta il disco precedente e ci fa rammaricare oppure non abbiamo ancora capito nulla e i Katatonia rappresentano il manifesto di chi non sente di dover dimostrare niente a nessuno e fa solamente ciò che vuole libero da ogni dogmatismo?

Io, per cultura personale e visione del tutto scevra dalle regole, propenderei per la seconda delle due, anche perché è proprio questa “libertà” totale che si respira per tutto il disco ciò che più mi affascina di “City Burials”. Guardando alla discografia del gruppo è talmente evidente come non si siano mai risparmiati nulla, anche a costo di sfornare album dall’accesso tutt’altro che immediato, come il precedente “The Fall of Hearts”.

Perchè quindi dovreste comprare un disco come “City Burials”?

Perché ha quella tonnellata di malinconia come piace a me. Quella pesantezza che si libera dell’iniziale opprimente disagio per non riuscire a trovare quel qualcosa che ci aspettiamo e che vorremmo. Quel senso di ineluttabile bellezza che rappresenta il modo migliore per cercare una via di uscita da questa prima tragica parte dell’anno.

Non rappresenta quindi il suono della desolazione interiore che hanno reso concreto i My Dying Bride, ma la colonna sonora del domani che stiamo attendendo con impazienza. Come se in un certo senso i due album fossero collegati e parte di un disegno unico e superiore e non si potesse prescindere dal loro ascolto meglio se sequenziale.

“City Burials” è un album da ascoltare e riascoltare. Dopo il primo difficile impatto non mi sono scoraggiato e ho continuato ad ascoltarlo fino a che non sono riuscito a carpirne il segreto per accedere alla sua essenza più intima. Ed ora non riesco a farne a meno. In qualunque momento della giornata.

È un disco in cui non c’è uno standard cui fare riferimento, non c’è un qualcosa che riporta ai canoni del genere. È a mio avviso un album veramente “musicale” nel senso più letterale del termine, e cioè “dolcemente sonoro, melodioso, armonioso”. Un album che pur nella sua (iniziale) complessità si rivela come una stella tra le più luminose in queste funeste notti. Una stella cui fare riferimento e verso cui guardare.

Assolutamente maturo sotto ogni punto di vista, “City Burials” indaga in modo spirituale e intimista, per certi versi addirittura quasi psicoanalitico, i nostri sentimenti, collocandosi da un punto di vista concettuale in modo impeccabile nel contesto che stiamo vivendo.

Rispetto all’eccessivo tecnicismo del precedente episodio i Katatonia riescono a snellire le composizioni senza perdere il loro sound, che pur se in un certo senso alleggerito, si mantiene costante e perfettamente riconoscibile.

È senz’altro il disco “meno metal” della loro discografia ma questo non deve essere necessariamente preso come un difetto, anzi tutt’altro. Sono riusciti infatti a scrollarsi di dosso tutti quei cliché che il metal impone e richiede.

Possiamo senza dubbio inquadrare (per i pochi che ancora non li conoscono) i Katatonia come una delle realtà più poliedriche della musica contemporanea. E questo loro continuo percorso evolutivo ne è l’esempio più lampante.

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