ANCHE PER PERDERE BISOGNA SAPERSI BATTERE
JEAN CLAUDE IZZO E MARSIGLIA
UN RAPPORTO INSCINDIBILE
Ci sarebbe da parlare per ore, se non per giorni, del valore di Jean Claude Izzo, sia come uomo che come scrittore. E forse finiremmo per dire le solite banalità che si leggono quando si cerca di ricordare chi se n’è andato prematuramente. Noi non vogliamo far parte di quel carrozzone che si mobilita ogni qual volta che un personaggio più o meno conosciuto passa a miglior vita. Per noi il dolore è una delle cose più personali che possano esistere.
E come tale lo vogliamo pensare. Rispettando totalmente chi si chiude nei suoi ricordi e non partecipa all’orgia mediatica da social network che si scatena ormai settimanalmente in concomitanza alle sempre più frequenti dipartite.
Le generazioni che hanno creato o provato a creare la società che viviamo, nel bene e nel male, ci stanno lasciando. E’ la vita che consuma lentamente i protagonisti del secolo scorso e che non manca di farci presente che la medesima sorte toccherà anche a noi, prima o poi. La tristezza della vita non è la fine certa che si palesa da un momento all’altro, ma la consapevolezza di non aver fatto abbastanza per cambiare lo stato di cose che abbiamo trovato e che purtroppo spesso lasciamo immutato nel momento in cui abbandoniamo chi resta. È anche vero che taluni di noi sono già morti prima di iniziare a vivere, ma questo è un argomento che ci proponiamo di affrontare in separata sede prossimamente.
Oggi vogliamo dedicare il nostro tempo ed il nostro spazio a Jean Claude Izzo e lo facciamo in maniera del tutto autonoma ed atipica (e per certi versi quasi fallimentare come la maggior parte delle cose marchiate Toten Schwan).
Il nostro ricordo di Izzo esula da anniversari, scadenze e quant’altro.
Nasce da una conversazione di qualche tempo fa, nei carruggi di Genova – la Marsiglia italiana, con Gianna del Putan Club.
Scoprire di condividere le stesse emozioni, le stesse idee, gli stessi valori di una persona mai incontrata prima e sentirla vicina grazie alle parole scritte sui libri è una delle sensazioni che più riempiono il cuore e danno speranza. Capire di essersi persi (e come noi chissà quanti altri) tra le descrizioni di una città e del suo (male di) vivere non ha prezzo.
Fortifica e convince che forse alla fine il mondo non è pieno solo di merda, che se si scava, sotto lo strato di letame nascono davvero i fiori come diceva De Andrè.
“Marsiglia non è una città per turisti. Non c’è niente da vedere. La sua bellezza non si fotografa. Si condivide. Qui, bisogna schierarsi. Appassionarsi. Essere per, essere contro. Essere, violentemente. Solo allora, ciò che c’è da vedere si lascia vedere”.
Questa la descrizione sommaria di Izzo in Casino Totale prima parte della trilogia marsigliese. La sua descrizione che si protrae per tutti e tre i volumi fornisce un taglio personalissimo della città e delle sue abitudini, debolezze e segreti che non troverete su nessuna guida specializzata.
Conviene affidarsi a lui e alle sue storie, immergendovi tra i profumi e i sapori che dispensa con sapienza e maestria raccontando le vicende e le disavventure di Fabio Montale e della sua Renault 5, il protagonista del polar che ci conduce alla scoperta di noi stessi e del male che ci circonda.
Marsiglia è una città che fa delle contaminazioni il suo punto di forza. Città di mare arroccata intorno ad un golfo che si affaccia sul più meticcio dei mari, dove convivono tra mille contraddizioni quartieri alla moda e dormitori per immigrati, in un crogiolo di lingue e tradizioni che rendono unico il percorrere le sue strade, perdendosi tra il vieux port con le sue banchine e il panier, il quartiere dei marinai e delle puttane, vivace, maleodorante e dalla pessima reputazione. Con l’Olympique, la locale squadra di calcio che funge da collante e fa dimenticare le iniquità del vivere quotidiano.
Un meltin’ pot di etnie che si consuma anche a tavola tra piatti arabi che si fondono con la tradizione latina di una zona della Francia che nulla ha da spartire con Parigi e L’ile de France, ma che si avvicina di più alle zone costiere di Spagna e Italia che viste all’orizzonte non sono poi così lontane. Tra mercati inebriati da spezie che invadono l’aria, i tessuti dalle tinte sgargianti e i richiami ritmati dei mercanti sembra di essere in oriente e invece siamo lungo la Canebiere la strada principale che dal porto risale verso monte.
Mentre Fabio Montale si perde tra casse di pesce appena scaricate sul molo, calamari grigliati e triglie al cartoccio i pastis non si contano più e la paura della morte sembra essere meno incombente. Finchè non arriva il momento intimista per eccellenza, l’uscita in barca in solitaria, dove accompagnato dall’immancabile aroma torbato del “suo” Lagavulin riordina le idee e riprende le forze perchè alla fine è pur vero che “vivere stanca”.
“Sarà la luce che fa socchiudere gli occhi, o il languore delle birre e dei pastis ai tavolini del Vieux Port, o i richiami dei gabbiani e gli occhi fiammeggianti delle ragazze – nei cui lineamenti esotici si leggono infinite migrazioni – che ridono e parlano forte, per farsi notare, per mostrare che sono belle. E lo sono.” così continua sempre in Casino Totale il corteggiamento di Izzo alla sua città.
Un agglomerato che si specchia nel mare placido sotto un cielo limpido e spazzato dal mistral, mentre la luce che si riverbera negli edifici datati del Vieux Port ti abbaglia seducendoti con il suo retrogusto esotico e sensuale. Una città descritta nei più piccoli particolari che contende a Fabio Montale il ruolo di protagonista dei suoi romanzi. Tra i dedali dei saliscendi che si arrampicano sulle colline, sotto lo sguardo dell’imponente Notre Dame de la Garde si sono amati i genitori di Izzo, la madre di origine spagnola e il padre emigrato da Salerno.
Ed è qui che è nato Jean Claude.
Scendendo dal Panier ci si immerge tra le banchine, i cargo, le gru e i traghetti con i clochard che arrancano sotto il sole in cerca di un pasto caldo e sembra di trovarsi tra le pagine del suo ultimo meraviglioso “Il sole dei morenti”, epilogo stupendo di una carriera incredibilmente feconda in quanto a capolavori.
Una città che secondo alcuni è più mosaico che integrazione, ma che comunque la si pensi non lascia indifferenti, una città che tra cumino e coriandolo che si rincorrono nell’aria sotto la spinta del mistral seduce come una donna fatale uscita dalle pagine dei suoi libri. Una città in cui nessuno è fuori posto perchè come amava dire lui stesso: “A Marsiglia quasi tutti gli abitanti hanno una qualche origine in un altro paese, è per questo che nessuno è straniero a Marsiglia.”
Una delle cose che ci ha fatto amare immediatamente Izzo attraverso il suo alter ego Fabio Montale, perduto tra storie drammatiche, tristi e pervase di una disperazione talmente cupa che si fatica a descriverla, è la sua (loro) visione della vita, che può tranquillamente essere sovrapposta alla nostra.
Anche Montale come noi non crede agli eroi che vincono, non vede futuro per se stesso e considera la società che lo circonda e di cui fa purtroppo parte una manica di perdenti, a tutti i livelli.
Isolatosi nella sua scelta di restare dalla parte degli sconfitti in “un calderone dove bolle il più sorprendente concentrato di esistenza” cerca di capire prima di condannare, immedesimandosi nei reietti, nei figli dell’emarginazione sociale, nella militanza civile. Immolandosi come antieroe malinconico, disilluso sognatore, conscio di non avere un domani e di non poterlo lasciare ai suoi eredi si rifugia nella solitudine di chi non ha più niente da chiedere portandosi dietro le sue piccole ma grandi passioni.
Sentiamo Izzo particolarmente vicino perchè anche lui come noi (o forse sarebbe meglio dire il contrario, anche noi come lui) vive un amore incondizionato e sincero, che va oltre tutto e si nutre della coscienza della disperazione altrui, in una vita annaffiata dalla spesso vana ricerca della speranza. Il tutto con lo spettro della sconfitta derivante dalla scoperta della disillusione che porta con sè l’amarezza di una felicità carica di rimpianti.
“È essenziale che la gente si incontri” amava ripetere Izzo. E aveva ragione. C’è la generazione da social network che sta qui a dimostrare che come sempre “la ragione aveva torto”. Troppo pericoloso mettere in contatto le persone, meglio dividerle. Isolarle. Glorificarle col nulla. Non sia mai che inizino a pensare con la loro testa.
Potrebbero aver voglia di cambiare le cose.
La vera deriva non è quella dei marinai perduti cantati da Izzo nel suo libro omonimo, ma quella dei sentimenti. Izzo lo aveva capito, noi ancora no.
Purtroppo.
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