“L’uomo invisibile” di Herbert George Wells, edito da Newton Compton
“L’uomo invisibile” – scritto nel 1881 e pubblicato per la prima volta nel 1897 – è un romanzo che narra le vicende di Griffin, un promettente fisico del XIX secolo che sviluppa un procedimento per rendere invisibile qualsiasi oggetto, e che lo sperimenta su se stesso. In questo libro, Wells non sembra ritenere rassicurante il futuro, pare dirci che il solo progresso scientifico non è sufficiente a migliorare la condizione umana su questa terra se non è accompagnato dalla consapevolezza di ciò che ogni scoperta può significare; moniti più che legittimi, se pensiamo a quante scoperte di questi ultimi cento anni non hanno fatto altro che concentrare benessere, ricchezza e potere nelle mani di pochi, mentre a tutti gli altri ha portato miseria e distruzione.
Con oltre un secolo d’anticipo, l’autore racconta anche l’inquietudine e la solitudine che caratterizzano i giorni nostri, e un altro problema molto attuale, il rifiuto del diverso.
Potrete leggere passaggi come questi:
• Lo straniero arrivò ai primi di febbraio, in una giornata gelida, sferzata da un vento tagliente e battuta da una fitta nevicata, l’ultima della stagione. Veniva a piedi dalla stazione di Brumblehurst, e teneva in mano, una mano pesantemente guantata, una valigetta nera. Era imbacuccato dalla testa ai piedi, e la tesa del suo morbido cappello di feltro gli scendeva sul viso, nascondendolo quasi interamente alla vista. L’unica cosa visibile era la punta lucida del suo naso. (…) Più morto che vivo, entrò nell’albergo “Carrozza e cavalli” e lasciò cadere in terra la valigia. “Un po’ di fuoco” gridò “in nome di Dio! Una stanza e un po’ di fuoco!” Nel bar si scrollò la neve di dosso battendo i piedi, poi seguì la signora Hall nel salotto degli ospiti per definire l’affitto di una stanza. Dopo questi preliminari, non disgiunti da un paio di sterline d’oro deposte sul tavolo, prese alloggio nella locanda.
• “Ti dirò…” esordì Fearenside, misteriosamente. Era pomeriggio inoltrato e si trovavano nella piccola birreria di Iping Hanger. “Cosa?” chiese Teddy Henfrey. “Quel tipo di cui stavi parlando, quello che è stato morso dal mio cane. Beh, è nero. O almeno lo sono le sue gambe. L’ho visto attraverso il buco nel guanto e lo strappo nei pantaloni. Ci sarebbe stato da aspettarsi del rosa, no? E invece niente di niente. Te lo dico io: è nero come il mio cappello.” “In fede mia” replicò Henfrey “è una faccenda proprio strana. Perché il suo naso è rosa come una rosa!” “Lo so” ammise Fearenside “l’ho visto. E ti dirò quello che penso. Quell’uomo è un pezzato. Proprio così, Teddy: bianco qua e nero là, a chiazze. E se ne vergogna. È una specie di mezzosangue, solo che i colori sono usciti a macchie, invece d’essere mescolati. Ne avevo già sentito parlare. E poi nei cavalli, lo sanno tutti, è una cosa che succede comunemente.”
• Al signor Hall lo straniero non riusciva a piacere e, ogni volta che ne trovava il coraggio, batteva il tasto dell’opportunità di liberarsi di lui; più che altro, però, si limitava a dimostrargli la propria avversione ignorandolo ostentatamente ed evitandolo il più possibile. “Aspetta fino ad aprile” ripeteva saggiamente la moglie “quando cominceranno ad arrivare gli artisti. Poi vedremo. Sarà un po’ scocciante, questo sì, ma un conto pagato puntualmente è un conto pagato puntualmente, qualsiasi cosa ti faccia piacere dire.” Lo straniero non andava mai in chiesa. Anzi, non faceva nessuna differenza tra la domenica e gli altri giorni “irreligiosi”, nemmeno per quel che riguardava l’abbigliamento.
• Un paio di volte i suoi occhialoni sporgenti e quel volto spettrale e bendato, che si intravvedeva sotto l’ala del cappello, sbucarono all’improvviso e in modo quanto mai sgradito dal buio, parandosi davanti a uno o due operai che tornavano a casa. E Teddy Henfrey, uscendo in tutta fretta dal “Giubba rossa” alle nove e mezzo di sera, si prese un vergognoso spavento, vedendo quella testa simile ad un teschio (l’uomo camminava col cappello in mano) illuminata all’improvviso dalla luce che filtrava dalla locanda. Alcuni bambini, dopo averlo incontrato al calar della notte, sognarono i fantasmi. Non era ben chiaro se egli provasse per i ragazzi una avversione maggiore di quella che costoro provavano per lui, o viceversa. L’unica cosa certa era che l’antipatia era notevole e reciproca. Era inevitabile che un uomo dall’aspetto e dalle abitudini così singolari costituisse il principale argomento di conversazione in un paesino come Iping. (…) l’opinione corrente era che si trattasse di un criminale che tentava di sottrarsi alla giustizia cercando di non dare assolutamente nell’occhio alla polizia. Questa teoria era stata formulata dalla fertile mente di Teddy Henfrey. Non si aveva infatti notizia di nessun crimine di nessun genere perpetrato nella seconda metà di febbraio. Elaborata dall’immaginazione del signor Gould, assistente in prova presso la scuola Nazionale, la teoria risultava cambiata in: si tratta di un anarchico travestito che sta preparando qualche attentato. Il signor Gould decise anche di condurre delle ricerche in proprio, approfittando dei momenti liberi. Tali investigazioni consistevano principalmente nel guardare di brutto muso lo straniero ogni volta che lo incontrava e nel fare domande su di lui a gente che non l’aveva mai visto. Un’altra corrente di opinioni faceva capo a Fearenside, e aveva sposato la tesi dell’uomo pezzato, o alcune variazioni su questo tema base.
• (…) spedirono (…) Millie a svegliare Sandy Wadgers, il fabbro. Il messaggio che le affidarono suonava: “Saluti da parte di Hall. I mobili della stanza di sopra si comportavano in maniera abbastanza strana. Se la sentiva di fare un salto?”. Sandy Wadgers era un uomo accorto e pieno di risorse. Prese molto a cuore il caso. (…) Prendeva la cosa a cuore ma un po’ alla lontana. Gli Hall avrebbero voluto portarlo su e mostrargli la stanza, ma Wadgers non sembrava avere alcuna fretta. Preferiva restare a discuterne in corridoio. Giù in strada, il garzone di Huxter uscì per togliere le persiane dalla vetrina dei tabacchi. Lo chiamarono e si unì alla discussione. Naturalmente il signor Huxter seguì il suo dipendente nel volgere di pochi minuti. Il genio anglosassone per il governo parlamentare rifulse in tutto il suo splendore: ci furono un sacco di chiacchiere e nessuna azione decisiva.
• “Sono invisibile. Il nocciolo è tutto qui. E voglio che tu capisca…”
“Ma dove sei, pressappoco?” interruppe Marvel.
“Qui, a cinque metri da te.”
“O diamine, non sono mica cieco! Sbaglio o vorresti darmi ad intendere che sei fatto d’aria? Non credere di avere a che fare con uno di quei vagabondi ignoranti…”
“Sì, sono fatto d’aria. Stai guadando attraverso me.”
(…)
“Ti dirò… questa faccenda mi confonde un bel po’.”
“Quello che posso dirti adesso è questo: mi serve aiuto. Sono venuto per questo. Ti sono piombato addosso all’improvviso. Stavo vagando, pazzo di rabbia, nudo, impotente. Avrei anche potuto commettere un omicidio… Poi ti ho visto.”
“O Signore!”
“Per un po’ ti ho seguito. Aspettavo. Poi ho proseguito da solo.” L’espressione di Thomas Marvel era tutto un programma. “Poi mi sono fermato. Mi sono detto: ecco, è un emarginato come te. È proprio l’uomo che ti ci vuole. Così mi sono girato e sono tornato sui miei passi. Proprio tu. E…”
“O mamma!” esclamò Thomas. “Mi vengono le vertigini. Posso chiedere come mai? E che razza d’aiuto ti servirebbe? Se sei invisibile!…”
“Voglio che mi aiuti a trovare dei vestiti e un riparo e anche qualche altra cosa. Mi mancano da troppo tempo. (…) Ma se mi tradirai” aggiunse “se non farai quello che ti dico…” Fece una pausa e batté un colpo sostenuto sulla spalla di Marvel che cacciò un grido.
“Non ho la minima intenzione di tradirti” precisò il vagabondo, spostandosi prudentemente.
• L’uomo invisibile bestemmiò.
• Ricordo il ritorno nella sua casa vuota, attraverso quello che un tempo era stato un villaggio e che gli speculatori edilizi avevano trasformato nella brutta copia, rappezzata e rabberciata, di una ignobile città.
• Avvertivo la perdita del comune sentimento della solidarietà umana, ma la attribuivo alla generale vacuità della vita.
Cos’altro aggiungere? Nato da una famiglia piuttosto modesta, Wells ebbe una giovinezza che si direbbe uscita dalle pagine di un romanzo di Dickens: posto assai precocemente di fronte ai problemi pratici della vita, l’educazione fu per lui un fatto accidentale.
Ma se Griffin, una volta divenuto invisibile, non ce la fa a ricostruirsi credibilmente come essere umano, Wells “invisibile” e grigio “uomo qualunque” dotato di un “cervello ordinario” e di un “aspetto insignificante” (come lui stesso amava definirsi) riesce a diventare uno degli scrittori più letti e discussi del suo tempo: verrà definito un secondo Jules Verne, un secondo Charles Dickens, un secondo Jean-Jacques Rousseau.