Urin, un nome che suggerisce una risata; risata smontata all’ascolto con un montante alla mandibola. Punto.
Combo polacco di stanza a Berlino con un solo obiettivo: disastro sonoro!
Dai tempi della prima cassettina autoprodotta, gli Urin si son fatti latori di quel verbo che vuole il punk hardcore come materia disgregante del suono:
da un lato attacca, dall’altra pare incrinarsi man mano che si va avanti con l’ascolto, fino a rompersi, deflagrarsi.
Come un essere umano in preda al mal caduco, gli Urin si dimenano in una danza disordinata, bestiale mentre vanno in mille pezzi schiumando dalla bocca.
4 Pezzi suonati con strumenti creati dall’essere umano ma che, con l’essere umano, sembrano voler non avere più niente a che fare: tra affondi di hardcore disordinato, che pare indicare le sue radici nel nostro hardcore anni ’80 (i Wretched, i Declino, gli Eu’s Arse, le atmosfere ipnotiche che diventano confusione pura dei mai abbastanza celebrati Soglia del Dolore) fino alla Drone più arrogante e sfrontata dei Wolf Eyes di “A Burned Mind”, gli Urin alzano l’asta dell’estremismo nel punk.
Ovviamente la scelta estetica prescelta è quella Lo-Fi che altro non fa se non impreziosire le scelte sonore del gruppo: rumore, fruscio, distorsione, bassa risoluzione;
i 5 sensi, confusi, si predispongono a una diversa percezione dell’esistente. Il sesto, che è anche il più antipatico per conto mio, qui va letteralmente a farsi fottere:
non si può prevedere nulla quando si è persi nel caos più totale e, per inciso, la mancanza di certezze, di appigli concreti, è solo un bene (soprattutto di questi tempi in cui il termine “normalità” assume sempre più dei tratti deleteri).
Curioso come il Lo-Fi sia da sempre, dai bluesmen del delta, passando dai VU e dai primi Suicide e arrivando a questi Urin, una scelta decisamente anti-establishment:
la grande industria discografica non è mai riuscita a concepirlo se non a posteriori e, quindi, quando ormai, come nel caso dei VU, si è storicizzato.
Una raccomandazione: ad un primo ascolto si potrebbe anche dire “si, ma i pezzi son tutti uguali” Grosso errore: ascoltate e riascoltate questi 4 pezzi, immergetevi in loro così che essi possano immergersi in voi e scovare il vostro lato più caotico; permettetegli di tirarlo fuori, dargli una voce.
Sarà un’esperienza che, in un primo momento, potrebbe anche risultare sfiancante ma che, sul lungo periodo, potrebbe aiutarvi a conoscervi meglio.