Anticipato dal singolo “Eat acid see God” in tarda primavera, e a due anni di distanza da “Dengue Fever Hypnotic Trip” (con conseguenti tour e date nel Regno Unito, Europa e Sudafrica) i milanesi Gluts hanno pubblicato, a inizio mese, il loro quarto album, “Ungrateful Heart“, uscito su Fuzz Club e registrato, nel giro di una settimana, insieme al produttore olandese Bob De Wit (già al lavoro coi Sonics).
Il quartetto nostrano, formatosi nel 2013 (e composto da Claudia Cesana al basso e voce, Dario Bassi alla batteria e i fratelli Campana, Marco alla chitarra e Nicolò alla voce) è fautore di una formula che abbraccia l’universo post-punk quanto quello noise rock e (neo)psichedelico, cantato interamente in inglese.
La band conferma quanto di buono proposto nelle precedenti prove sulla lunga distanza, e non mancherà di saziare orecchie assetate di rumore e melodie straziate. Fugazi, Gang Of Four, PiL e l’hardcore punk italiano e americano sono le ispirazioni dichiarate dai quattro musicisti, e già dal noise rock che apre (con “Mashilla“) e chiude (coi sette minuti psichedelici del succitato singolo “Eat acid see God“) l’album possiamo fiutare l’aria che tira.
Nel mezzo, l’ascoltatore si ritrova catapultato in un vortice di post-punk edonistico (“Love me do again“) psichedelia oscura (“Black widow“) testi impegnati (in “Breath” e “FYBBD“, in cui i Gluts mettono la loro belligeranza sonica al servizio di liriche espressamente antifasciste e antirazziste) dream pop dalle sinuose linee vocali (“Leyla, lazy girl from the Moon“, cantata da Claudia) alt. rock devoto tanto alla Gioventù Sonica quanto a certo Seattle Sound (“Something Surreal“) ed energico proto-punk (in “Ciotola di Satana” e “Bye bye boy“).
La musica dei Gluts non è per cuori pavidi, i nazionalismi sono rifugi sicuri per menti piccole e stupide, e if you’re a fascist, you’d better be dead.