Uscito solo su digitale nel Febbraio del 2021, sul Bandcamp del gruppo, questo Observer ha faticato quasi un anno prima di trovare una forma fisica e, ben inciso, lo fa nel migliore dei modi:
su Drunken Sailor, etichetta inglese tra le più autorevoli nel descrivere, col proprio catalogo (Knowso, Chainwhip, Erik Nervous, Dark Thoughts, The Stools…e si potrebbe continuare per ore…), quello che oggi sono il punk rock, l’Hardcore Punk e il Garage.
I Nag, com’è oramai ovvio, si accodano con coerenza e pari cifra al livello qualitativo, piuttosto notevole, dell’etichetta.
Esattamente come nel precedente debutto “Dead Deer” (su Die Slaughterhaus Records) fondano le loro sonorità su di un pastiche tra ritmi serrati Punk Rock e armonie Dark Wave, solo che qui paiono, rispetto al predecessore (un bellissimo disco ma, a paragone con questo, un po’ più acerbo) più maturi e più centrati.
Già nella prima New Science Fix, un gran numero di punk rock dalle atmosfere malsane sull’idea dei Dead Kennedys di Police Truck, ci si rende conto di cosa si abbia di fronte:
un granitico blocco di punk al fulmicotone con dei marcati tratti epici e gotici allo stesso tempo;
tutto il disco gode di una più che piacevole tensione estenuante, supportata da una scrittura più che ottima.
Anche quando si distendono in ritmi più cadenzati (The Colour from Outer Space, la splendida Stellar Wind o la decadente ed indimenticabile Candy Walks) i Nag tengono alta quest’atmosfera da coltello puntato alla gola:
una lama affilata accarezza la pelle a minacciare la vita.
Un continuo senso di imminente disastro permea l’intero svolgimento per poi esplodere in episodi dove la furia e l’oscurità si fondono e attaccano senza pietà:
Identify, oltre che un pezzo MERAVIGLIOSO, è una prova da primi della classe in materia di hardcore punk anni ’80 californiano;
così si può dire del divertente gioco di Sweeping Observer, dove i Nag prima ci illudono con un fraseggio Death Rock, cupo ed elementare, per poi esplodere in un improvviso attacco epilettico a ritmo di Bad Brains;
impossibile, poi, non citare la conclusiva Burning Books che, anziché lasciarci ad una chiusa banale, per un disco del genere, è un pezzaccio hardcore punk sempre sparato, sempre oscuro, sempre vocalmente cinico e distante da tutto quello che è anche solo vagamente umano, salvo poi risolversi in tribalismi e rituali da esecuzione capitale…
Il cantato merita proprio una menzione speciale: se non bello, senz’altro perfettamente funzionale all’intero insieme, così atono, così apatico, così volutamente sprezzante e nemico, riesce ad amalgamare bene i momenti più cadenzati a quelli più marziali a quelli più violenti, rendendo ancora più coerente la proposta:
una gita nel lato oscuro del Punk Rock, il lato dal quale, speriamo, di non fare mai più ritorno.