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Recensione : Bau – Bau

Da questo, e molto altro, arrivano i Bau, quartetto Noise Rock stile Amphetamine Reptile. Rock oscuro ed ostile. Rock nato per non piacere e, proprio per questo, mi piace.

Da Teramo

Provincia dell’impero

Provincia deprecata, disconosciuta, odiata.
Impero del vuoto, del niente bucato, dell’ignavia e della solitudine.

Da questo, e molto altro, arrivano i Bau, quartetto Noise Rock stile Amphetamine Reptile. Rock oscuro ed ostile. Rock nato per non piacere e, proprio per questo, mi piace.

Dissonanze, il secondo disco dei God Bullies, o degli Hammerhead, quel garage rock/proto punk maciullato in nome del rumore, del Chaos, della totale confusione:

perché la provincia, ordinata, villetta a schiera, macchine comprate a rate per sfoggio ed invidia, vite vissute per celia, merita solo il rumore, appunto, il Chaos, appunto, la totale confusione, appunto. Appunto.

Due chitarre, una sospesa su di un rock n’ roll bastardo, un’altra che rumoreggia, una voce elegiaca e maledetta, una batteria solida come il marmo e l’acciaio:

questo è quanto e chi vuole di più sbaglia e di parecchio.

Nella sintesi è la sostanza

Nella dissonanza è il neo-neorealismo di queste 4 tracce buttate lì come una danza macabra in quattro movimenti;

non le quattro stagioni ma le quattro piaghe:

Creepshow (La Disinformazione) già nelle sue elucubrazioni disperate, nella sua sostanza greve, nel suo psicodramma cadenzato, dimostra l’inizio di un percorso iniziato con la consapevolezza dei propri mezzi, la risolutezza di un progetto certo non nato per caso: si sa, come dato sicuro, quel che si vuol dimostrare e come dimostrarlo. Arrangiamento attento e puntuale nei suoi giochi ritmici, nei suoi momenti di silenzio, nei suoi affondi nel caos e nel disordine.

Così il primo pezzo

Così tutto il disco.

Cancer (La Nevrosi) è un frenetico rockabilly passato alla grattugia: un rock n’ roll morboso che si frantuma senza ritegno; più il pezzo va avanti nella sua breve esposizione e più si ha l’impressione che vada in mille pezzi: una bottiglia spaccata in testa, quando meno te lo aspetti; lì per lì non provi niente, a parte stupore. Tutto il tempo che ti rimane puoi dedicarlo solo a ricucirti le ferite

Grow&Glow (La Nostalgia) è un’elegia cantata da un coro di demoni interiori: breve ma infinita nella sua disperazione, così umana, così fragile, così dannata. Una ballata per spiriti traditi dalla modernità, da tutto quello che avremmo voluto ma che un’indotta percezione del reale non ci consente. Chitarre sporche, dissonanti, si interrompono e si riaprono in un inframezzo di piccoli assoli e fraseggi deliranti. Poi i fischi, una chitarra rimane sola a reintrodurre una risalita che diventa ossessiva nella monomaniacale ripetizione di “Grow&Glow”, come in un rito catartico, fino a che non ci si ritrova di nuovo nelle mani del ritornello: risolutivo, forse, puntuale, di sicuro.

So High (L’ Angoscia): una cavalcata macabra, cadenzata, graziata da dialoghi tra chitarre che producono melodie tetre , quasi a descrivere scheletri di fabbriche abbandonate e case senza più nomi sui campanelli. Un pezzo degno dei Brainbombs più morbosi, degli Stooges più decadenti…

Una breve dimostrazione in quattro pezzi, uno più spiritato e drammatico dell’altro, che inaugura il 2022, un anno dai tratti incerti e scivolosi, e lo fa nel migliore dei modi: con metodo, certo, ma anche con scelleratezza e assenza di freni inibitori

“Sarà un altro anno difficile” paiono dirci i Bau “ma noi ci tuffiamo di testa dentro questo, senza paura di ferirci” un po’ come fanno i poeti, quelli veri.

Un disco da avere, possedere, fare proprio: uno dei souvenir più credibili da una pandemia.

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