Quattro EP
Tre in formato 7”
Uno in musicassetta
Cinque gruppi: due italiani, tre statunitensi e quattro (ma anche cinque) modi differenti di intendere il Punk
Tre etichette, tutte italiane
Un solo comune denominatore:
DIY, DIY dall’inizio alla fine, come approccio, come stile, come estetica del suono e della grafica, come filosofia che, più che sonora, è di vita.
Si parte per ordine alfabetico e non di importanza (non esiste l’importanza nel mondo del Punk Rock e men che mai in quello del DIY):
Beatersband- “Love I Can B W You b/w My Mother Plays Rock ‘n’Roll” 2021, Autoprodotto.
E dire che è anche uscito a ridosso dell’estate scorsa, quando l’udito ed il sentimento son più predisposti verso ascolti più Power Pop.
E dire che era (ed è tutt’ora) già disponibile nella distro di Area Pirata (mio spacciatore di musica stupefacente di fiducia)
E dire che sono pure di Rosignano Solvay, a due passi da dove vivo e lavoro.
E dire che uno che scrive recensioni dovrebbe essere attento in primis verso le realtà geograficamente a lui più prossime.
Vabbè, cerco di recuperare chiedendo umilmente scusa ai Beatersband!
Molto più avvezzi al rifacimento in guisa punk rock di classici R’n’B , Power Pop, New Wave e Garage, qui i Beatersband si cimentano con due originali scritti, com’è ovvio, di loro pugno:
il lato A del disco, una stupenda “Love I Can B W You”, è intrisa di un Romanticismo vero che la natura diretta del loro punk rock ne rende inconfutabile l’onestà degli intenti:
non quindi l’amore dei vincenti, dei cioccolatini per San Valentino e dei film dai bei finali, ma l’amore nella sua impossibilità nel realizzarsi come fatto compiuto:
la distanza, l’incapacità a stabilirsi e stabilizzarsi sulla mutua costruzione di un sentimento condiviso e duraturo,
questo è il messaggio che si riceve all’ascolto di questa meravigliosa traccia, tutta giocata su di un malinconico intreccio di note maggiori e minori ed un cantato perfettamente in linea col genere ma dai toni tragici.
Una traccia che, nonostante la mia roboante presentazione, ha il suo punto di forza nella sua semplicità che la rende più che consona ad una forma di accorata empatia da parte di chi ascolta.
Il tempo trascorso a studiare e cucirsi addosso pezzi melodici ed orecchiabili di altri artisti non è stato speso invano dai Beatersband:
hanno saputo fare tesoro di queste hit e ne hanno fatto arte per conto proprio…
Lo stesso discorso, anche se con un’atmosfera di insieme differente, si può ripetere tranquillamente per “My Mother Plays Rock‘n’Roll”, molto più allegra (lo anticipa già il titolo) e divertente: nella sua brevità (circa due minuti) riesce ad essere un pezzo di ottima scrittura e che rimane in testa già al primo ascolto;
il finale, ben farcito di fraseggi scuola Jughead degli Screeching Weasel, diventa più malinconico ma non perde quel mordente divertente e divertito dell’inizio.
Un bel singolo quindi, in odore di Muffs, Cheeks e prime La Donnas, un’ottima prova che non avrebbe certo sfigurato nel catalogo Lookout!
Complimenti!
COMPRALO ADESSO !
Fever “S/T” cs, 2022 Flamingo Records, Lanterna Pirata.
Genova è un posto dove voglio tornare prima o poi, un po’ perché mi piace, come città e come spirito cittadino, e un po’ perché vorrei mettere piede dentro Flamingo Records; un luogo che è molto di più di un semplice negozio di dischi:
è etichetta (Flamingo Records), Fanzine (UP!) e fa parte del Collettivo di Adescite che, da qualche anno ormai, organizza concerti Punk/Hardcore a Genova.
Molto più di un semplice negozio di dischi: un punto di ritrovo, un centro culturale, un luogo di confronto e di acculturazione; un posto da dove si esce con la consapevolezza di non essere un utente, ma una persona che va a confrontarsi, comunicare e, magari, imparare anche qualcosa di nuovo!
L’ultima uscita in ordine di tempo per Flamingo son questi Fever e, bisogna ammettere, che è un centro pieno:
Crust dai toni crepuscolari, quella terra di mezzo tra il Punk malsano dei Rudimentary Peni di Death Church, I Chaos UK dei primi singoli (Burning Britain su tutti) e i Sister Of Mercy fino a “First, Last and Always”.
Capacità di attacco al fulmicotone, tra cadenze Crust Core condite da riff Thrash e improvvisi affondi malinconici dove la chitarra si abbandona in fraseggi, per l’appunto, Gothic Rock: tutto questo solo nell’iniziale “Today”, così, giusto per rendere l’idea…
“Freedom” conta su di un inizio Hardcore sparatissimo per poi affogare in un pantano gotico e disperato. Pantano nel quale rimaniamo su “Remember”, che segue un processo direttamente inverso: dai fraseggi gotici alle avventate e disperate fughe UK82. Il tutto, in entrambi i pezzi, è eseguito, più che con mestiere, con una naturalezza ed una capacità sensazionale.
Sul finale troviamo “Empty” che, servendo come summa dei tre pezzi in apertura, è anche il picco del disco: un continuo rincorrersi tra blitz improvvisi in un Inghilterra arrabbiata e violenta e, un’altra Inghilterra, quella crepuscolare e malinconica di antichi manieri vittoriani ormai in disuso;
il risultato di questo viaggio, tuttavia, serve solo ai Fever come strumento di rappresentazione di una Genova nascosta agli occhi dei turisti;
una Genova fatta di alluvioni che soffocano una delle città più belle che io conosca; una Genova di ponti che crollano infangando la rispettabilità di un popolo, quello genovese, che è tra i più accoglienti ed ospitali al mondo e, in ultimo, la Genova che vuol fare chiudere spazi vitali come il Terra di Nessuno, un luogo che è più che un semplice luogo: è un modo di pensare, di vivere e di agire…
Una Genova lontana dai formati cartolina in cui qualcuno la vorrebbe condannata e più vicina a realtà vive e credibili, come i Fever, Flamingo e Lanterna Pirata, altra etichetta genovese da anni dedita alla pubblicazione di perle come quella di cui ho parlato fino ad adesso:
un incrocio, come da tradizione resistente italica, tra pensiero, politica e musica: musica non solo come intrattenimento ma anche, e soprattutto, come mezzo di comunicazione ed informazione.
Questa è la Genova che conosco e che vorrei rivivere quando, ormai sempre più prossimamente, ne sono certo, ci ritornerò.
Schizos “Fuck Music City”7”, 2022-Goodbye Boozy rec.
La Goodbye Boozy è un’etichetta di Teramo che, negli anni (ormai venti fatti) ha saputo crearsi un’estetica che la caratterizza e la distingue da tutte le altre etichette che operano nello stesso genere di riferimento: Punk Rock e Garage Punk dalle forti tinte Lo-Fi (per farla breve) ma con una passione smodata per la bizzarria,
per la continua apertura verso esperimenti che sviano dal genere di riferimento arricchendo il tutto con deviazioni piuttosto originali.
Questo discorso vale anche per questo 7” degli Schizos che vede la partecipazione di un solo elemento del gruppo in combutta con quel gran autore che è Drew Owen, già titolare di progetti interessantissimi quali DD Owen, Sick Thoughts e DD Death (sentitevi Il disco di quest’ultimo, sempre su GB: un vero e proprio spasso di Thrash primigenio sulle orme dei primi Venom).
Qui assistiamo ad una prima parte, composta di tre pezzi, dove l’hardcore punk di gruppi storici, come Negative Approach e Sick Pleasures, trova uno sfogo perfetto nella collaborazione dei due soggetti in questione:
pezzi senza tanti accorgimenti, strofa-ritornello, ritmo serrato, chitarre grattugiate e via dritti contro un muro.
Testi ridotti all’osso, piccoli messaggi psicotici, abulici, lasciati come schizzi di sangue su di un muro macchiato di muffa: un nichilismo autolesionista e che si crogiola nel suo decadimento etico e fisico. Spettacolare.
La seconda parte è qui per sorprenderci:
un solo pezzo, “Going South”, e dall’Hardcore si sottrae il core e si aggiunge il Rock: un vero pezzo grezzo dai riff alla Steppenwolf dove il nichilismo della parte Hardcore non viene lasciato da parte:
“mi stono tutti i giorni, ma non abbastanza da averne coscienza(…)nella stanza di un motel, una pistola alla mia testa, andrò fino in fondo e mi ucciderò…”;
quasi un tentativo nella ricerca di una connessione, sia musicale che concettuale, fra due generi che non si son parlati per troppi anni e che, adesso, in questo breve ma incisivo 7”, paiono quasi volerlo fare e, solo Goodbye Boozy, poteva essere il terreno d’incontro di questo, solo all’apparenza, insolito dialogo di chiarimento.
Shitboats/CEO “S/T” split 7” 2022 Goodbye Boozy
Qui la bizzarria è nell’aver licenziato due dischi, uno in cassetta e questo in 7”, agli stessi due gruppi nello stesso istante:
i due dischi presentano una canzone per gruppo presente in entrambi.
Il perché non lo so e neanche mi interessa: tutti e due son dischi favolosi, così intrisi di genuino Rock n’Roll Lo-Fi e di quello spirito fai da te, scanzonato ma aggressivo che può essere riassunto in due sole parole “Goodbye Boozy”
Gli Shitboats ci regalano due pezzi di rock veloce, marcio ed energico oltre ogni dire. “Born To Lose My Mind” è un bel Budget Punk autodistruttivo una canzone decisa ma che si sgretola nel suo procedere, i Saints che fanno a botte coi Crime, mentre i Lazy Cowgirls si ubriacano al bancone.
Cities On Fire, poi, è un inno del genere: un bel Garage Punk di quelli rozzi ed arroganti, come riuscivano a produrre negli anni ’90 della Estrus, dei Mummies e degli Oblivians:
quando il ritornello parte, con quella ritmica spezzata e quella voce inquinata da un microfono rotto, gli indici si alzano al cielo ed il sentire si fa puro:
questo è Rock n’Roll, nessuno abbia niente da ridire in proposito…
Per i CEO non posso che avere parole di ammirazione al limite del fanatismo:
enormi, stupendi, meravigliosi, un garage che si annacqua di country rock che ne rende ancora più sghemba e sporca la natura ferina ed agitata del genere;
questa è Roadkill, un pezzo che già descrive bene la direzione artistica del gruppo: commistione fra generi, atmosfere tra l’agrodolce e il delirio, e tanto divertimento.
Yer Not Scum I Am è un divertentissimo punk rock alla Devo ancora più “Devo-luto” e piallato fino ad una quasi assenza ritmica.
Anche qui la genialità in fase di arrangiamento, quella genialità che preferisce togliere piuttosto che aggiungere, è più che tangibile:
i CEO potrebbero suonare scarni all’orecchio disattento, ma, in realtà, se li si ascolta con tutta l’attenzione che meritano, non si smette mai di stupirsi e di scoprire sempre nuovi piccoli accorgimenti ad ogni nuovo ascolto.
Se ci si autocondanna ad un ascolto disattento, si rischia di scorrere la conclusiva Give Me A Call senza rendersi conto che potrebbe anche rivelarsi come una delle canzoni più belle che si ha avuto la fortuna di ascoltare quest’anno:
un country romantico e malinconico, piuttosto standard, ma che rivela una penna d’eccezione e un gran bel lavoro armonico: un pezzo che non avrebbe sfigurato in “Time Fades Away” di Neil Young…
https://goodbyeboozydigital.bandcamp.com/album/shitbots-c-e-o