Il tempo passa ma continuiamo a vivere in una realtà dicotomica da cui pare impossibile discostarsi. Devono infatti ancora prendere vita i prodromi di quello che potrebbe e dovrebbe andare a configurarsi come il superamento di quello stallo ideologico che ci tiene ancora prigionieri. Restiamo inesorabilmente ancorati ad un approccio datato, e fallimentare, come quello del “o con noi o contro di noi” che non porta e non porterà assolutamente a nulla. Siamo alle prese con quella che consideriamo una frattura insanabile, non perché si tratti di opinioni che non possano essere superate, ma perché manca proprio la possibilità di modificare il pensiero, in funzione di un’idiota presa di posizione aprioristica.
Manca quella che è la base di ogni cambiamento. Ovvero l’idea che anche noi, in quanto parte attiva di questa lotta tra poveri, si debba guardare ad una rivoluzione interiore, ancor prima che a quella che agitiamo nell’etere dei social media. È lì, nello spazio virtuale in cui echeggiano i moti di rivolta, che occorre prendere atto della necessità di mettersi in discussione. Perseveriamo nell’idea bislacca di imporre il nostro pensiero considerandolo superiore, partendo dall’assurda idea di essere sempre e comunque nel giusto. Ma non ci rendiamo conto che nel momento in cui viene a mancare la capacità (o ancor peggio la voglia) di ascoltare, tutto è destinato a morire.
Continuiamo a crearci nemici all’esterno, per giustificare il nostro pensiero, ma non ci azzardiamo a guardare dentro di noi. Potremmo trovare anche lì quegli stessi stimoli che cerchiamo, e magari indirizzare lo sforzo intellettuale verso un cambiamento non solo del nostro pensiero ma anche del nostro approccio alla vita. Adagiati su comode posizioni che ci permettono di crogiolarci nelle ristrette cerchie dei nostri “simili”, non abbiamo la forza e l’onestà di guardare altrove, distante da queste “comfort zone” in cui tutti dicono le stesse cose per infondersi vicendevolmente forza, senza che nessuno abbia l’ardire di sforzarsi di pensare in modo difforme, pena l’esclusione dalla “casta”.
Se, come pare evidente, siamo in un mondo in cui chi più grida più ottiene, allora è secondo noi giunto il momento di tacere. Di invocare il silenzio come strumento di lotta. Continuare a scandire slogan, e ubriacarsi di frasi fatte non porterà a nulla. Perché è al domani che occorre guardare, non fermarsi ai conflitti di oggi, che domani avranno un altro nome e altri interpreti ma saranno assolutamente identici. In altre parole siamo giunti al momento in cui occorre morire, per poi poter rinascere.
È quanto mai urgente abbandonare la nostra condizione precedente per guardare al domani. Liberarci delle scorie di una dicotomia che non ha portato e non porterà a nulla. Recuperare le nostre più intime capacità e portarle alla luce, per illuminare un domani che pare sempre più oscuro.
Non è importante in questa fase capire chi siamo. Basta delineare la nostra figura basandola su chi non siamo. Ciò che saremo dipende da ciò che non vogliamo assolutamente essere. Modellare le dinamiche delle nostre scelte in funzione di un qualcosa che possa continuare a restare distante dal nostro pensare e dal nostro sentire. Contestualizzando il tutto ai nostri giorni, restare alla giusta distanza dalla dicotomica scelta che ci impongono e che continuiamo a rifiutare. Non stiamo demonizzando fantomatici nemici. Prendiamo solo atto di quelle che sono le negatività di taluni atteggiamenti, e cerchiamo di non cedere ai facili istinti che possono finire per portarci laddove proprio non vogliamo andare.
Ma non solo, è ovvio che chi ha le idee estremamente chiare e crede di sapere tutto, finirà inevitabilmente per incorrere in una chiusura mentale, auto celebrativa, con cui autoincensa se stesso e le sue idee, fortificandosi con la certezza che gli altri stiano sbagliando. Il dubbio è come sempre l’unica fonte a cui bere, oggi come ieri. Chi non riesce (sempre ma oggi in maniera ancora più decisiva) a superare lo scoglio dell’introspezione è destinato a vivere in modo irreale. È come guardare ai sintomi senza cercare la causa di un problema. Non c’è futuro. Solo paura.
Continuiamo a creare falsi miti idolatrando alternativamente soggetti che si autoproclamano eroi. È questo un altro grande pericolo che non consideriamo. Occorre invece, a nostro avviso, sfatare il mito individualista dell’eroe che risolve ogni problema, e che si fa carico delle altrui aspettative. Non esiste il singolo che si erge a salvatore. Dobbiamo saperci prendere le nostre responsabilità e diffidare dai capi popolo improvvisati. Sono figure figlie della dinamica del consenso, nipoti di quel pericolo narcisista che sentiamo già fin troppo forte e concreto.
In chiusura ci preme aggiungere un’ulteriore riflessione.
Se l’arte è vista come elemento di rottura, oggi la vera rottura in ambito artistico non è quella della facile contestazione, sforzo pressoché indolore e gratuito, ma quella di creare un’alternativa che esuli da entrambi gli schieramenti che si fronteggiano. Oggi “essere contro” non significa nulla. Si tratta di un atteggiamento di comodo, passivo, che strizza l’occhio a visioni passatiste, materialistiche e stereotipate. Siamo in un’epoca in cui l’importanza dell’estetica dell’apparire contestuali ad uno schieramento è l’unica cosa che conta davvero. L’apparire alieni, anonimi, defilati è il vero shock artistico e culturale. L’idea stessa di non allinearsi è la risposta ideale a chi, da entrambe le posizioni, cerca di portarci dalla sua parte. In attesa di morire, davvero.
2 Comments
Bob Accio
Posted at 16:53h, 19 Febbraio“Non è importante in questa fase capire chi siamo. Basta delineare la nostra figura basandola su chi non siamo”. Questa è la frase che più amo dell’articolo e a tutto tondo mi trovo in accordo con te. D’altronde non dobbiamo generare spettacolo, né contrapposizioni per avere audience. La bellezza di questo luogo digitale è che le persone riescono ad essere reali e a coinvolgere con il loro raziocinio evoluto e la sensibilità acuta. un sentito saluto Marco!
massimo argo
Posted at 11:19h, 20 FebbraioAnalisi fondamentale. La pandemia è un momento di cesura che lo vogliamo o no, sono venute al pettine molte contraddizioni della nostra società, ma alla fine è tutto dentro di noi, nel senso che come dice Marco dobbiamo lasciare qualcosa per andare avanti. Pensiamo sempre di avere ragione o di capire tutto, ma in realtà una delle poche cose che ho capito della vita è il suo continuo apprendimento, Si può imparare da un ragazzino, o dalla lettura di un libro. Lo spazio più importante è quello dentro di noi e lo stiamo trascurando. Forse non abbiamo un’identità ma siamo più vicini all’essere un fluido, momento dopo momento diversi dal momento precedente e da quello successivo. Sicuramente bisogna andare avanti, e anche un pò allontanarsi dal mondo. Sull’arte è facile gridare, molto meno pensare.